Creare storie: percezione, linguaggio e web

Lo storytelling [il raccontare storie, narrare, ndt] è un termine in voga con molte e differenti interpretazioni: o Internet uccide le storie o è la cosa migliore che gli sia capitata dall’invenzione della carta stampata.

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Le storie sono nate con l’uomo e ci aiutano a capire il nostro mondo e noi stessi. Apprendiamo e ricordiamo meglio le informazioni se sono narrate attraverso storie, perché queste rendono le informazioni molto più che la semplice somma delle loro parti. Ma cosa rende una storia una storia e che significato ha per il mondo digitale che abbiamo creato?

Dickens la sapeva lunga#section1

Charles Dickens dovrebbe essere la mascotte del web: era un social storyteller [racconta storie, ndt] a tutti gli effetti. Le sue trame narravano della società alla società, ma anche i suoi format erano sociali: esplorò nuovi modi per raggiungere il pubblico tramite il modo in cui i suoi lavori venivano distribuiti e nel modo in scriveva le storie stesse. Pubblicò la maggiar parte dei suoi romanzi come serie, nelle riviste piene di pubblicità ed illustrazioni, ad un costo assai inferiore del costo dei libri rilegati, ma scrisse anche a episodi, creando effettivamente le storie man mano che venivano pubblicate da ciascun periodico.

Ci sono pochi scrittori oggi che lavorano in maniera così aperta nei confronti dei commenti del pubblico, così dotati nel manipolare il sentimento pubblico e così coinvolti dall’avanzamento del proprio medium come lo è stato Dickens per il suo tempo. Ma le sue storie hanno delle lezioni più importanti da darci. I suoi format gli hanno dato libertà ma anche dei vincoli forzati, perché le sue storie erano fisicamente divise e perché nel tempo che trascorreva tra le varie puntate doveva esplorare nuovi modi per tenere desta l’attenzione dei lettori. E proprio come se fosse un narratore orale che racconta le sue avventure per alcune notti, usava il linguaggio stesso per mantenere l’interesse dei lettori.

Nell’ultimo capitolo di ciascuna puntata, le frasi divenivano più corte, più attive e più visuali. Ciò rendeva il testo dinamico e attivo, obbligando a un’ulteriore partecipazione. Prendete le ultime righe della prima puntata di David Copperfield (la chiusura del terzo capitolo):

the empty dog-kennel was filled up with a great dog—deep mouthed and black-haired like Him, and he was very angry at the sight of me, and sprang out to get at me.

Si può sentire il dinamismo delle parole e sentire la suspense del momento: Dickens è stato un precursore della call to action. Aveva capito come le persone reagiscono al linguaggio stesso così come ad una storia e noi abbiamo l’opportunità di fare lo stesso ogni volta che raccontiamo una storia online.

Comprensione: l’altro lato della storia#section2

La realtà è che non si percepisce mai una storia esattamente come è composta. Man mano che le persone leggono, completano, arricchiscono con ulteriori dettagli e aggiustano le nostre storie. Ci sono molte ragioni per questo: magari hanno cominciato a leggere non dall’inizio, stanno solo leggendo rapidamente quello che raccontiamo oppure stanno leggendo qualcosa in un contesto diverso da quello che pensiamo di aver fornito. La comprensione è la metà della storia del lettore e noi la creiamo attraverso due meccanismi psicolinguistici: l’inferenza e la coerenza.

Inferenza: tu deduci, io implico#section3

Se dite: “Jess ha comprato un bikini”, deduciamo che Jess è una donna perché gli uomini, di solito, non indossano un bikini. Se dite: “Mi è caduto un orecchino nella Senna”, deduciamo che siete a Parigi (in Francia, non in Texas).

Non tutti faranno le stesse deduzioni, ma state tranquilli che delle deduzioni verranno fatte. Questo è il modo in cui passiamo la giornata: immaginate se doveste qualificare qualunque cosa diciate, come se steste parlando a degli alieni che fossero appena arrivati sulla terra. Non riuscireste a finire una frase.

Le inferenze sono di tre tipi:

  1. inferenze logiche: create dai significati delle parole (ad esempio, un bikini è un costume da bagno di due pezzi da donna)
  2. inferenze da collegamento: create mettendo in relazione le vecchie e le nuove informazioni
  3. inferenze elaborative: create da una conoscenza del mondo (ad esempio, la Senna è un fiume che attraversa Parigi)

Le inferenze logiche ed elaborative richiedono un minimo di conoscenza da parte del nostro pubblico. Non possiamo assumere che tutte le persone a cui stiamo parlando o per cui stiamo scrivendo possano fare le stesse inferenze elaborative o logiche. Ma non dobbiamo scrivere nemmeno per il minimo comun denominatore. Questo è il bello del raccontare storie: le stesse identiche informazioni hanno significati diversi per persone diverse.

Finché il nocciolo di quello che stiamo cercando di comunicare non si basa sull’inferenza, possiamo sederci, rilassarci e lasciare che i nostri lettori facciano quello che vogliono con il nostro contenuto.

Collegare: scegliere la confusione#section4

Online, fare collegamenti è l’elemento dell’inferenza che dobbiamo capire meglio. E’ nostro compito pianificare come vogliamo che le persone colleghino le vecchie e le nuove informazioni.

Ma il web ha un’intrinseca capacità di favorire i collegamenti, perché è modulare. Ci permette di nascondere l’antefatto e di collegare le vecchie e le nuove informazioni tramite link piuttosto che tramite ripetizione.

Solo una narrazione costruita male si ripete invece che fornire connessioni. Quando il contenuto web non abbraccia la modularità del web, si finisce con delle pagine riempite sempre dello stesso contenuto, di note a pié di pagina, di tagline e di note a margine ripetute più e più volte.

La nostra abilità nel creare inferenze tra i moduli del contenuto è istintiva: se diamo le giuste tracce, i nostri lettori seguiranno la nostra storia. E man mano che il miglioramento della tecnologia ci fornisce sempre più posti in cui impegnarci con il contenuto, il concetto di pagina come singola unità riduttiva della comprensione (che è comunque, come vedremo dopo, una falsa assunzione) comincia già a scomparire.

Questo non vuol dire che tutto deve diventare un tweet o che i nostri cervelli smetteranno di funzionare quando dovremo concentrarci per più di 30 secondi. Questo significa che dobbiamo capire come la comprensioni bilanci l’altra parte dell’equazione del contenuto e smettere di pensare ai nostri lettori come a numeri su una dashboard.

Pezzi di Chomsky™#section5

Gli elementi base delle storie non sono mai state le ‘pagine’. Gli elementi base delle storie sono linguistici e naturalmente, non possiamo parlare di linguistica senza citare Chomsky.

Noam Chomsky ha diviso il linguaggio in quelle che chiamava ‘unità linguistiche’. Queste sono semplicemente dei pezzi di linguaggio, suddivisi in parti che potrebbero essere paragrafi, frasi, parole, nomi o perfino suoni.

Ora, anche il web suddivide il linguaggio: copiamo e incolliamo, twittiamo e citiamo. Il linguaggio è naturalmente divulgato in pezzi, proprio come è sempre stato. C’è una simmetria naturale tra il modo in cui parliamo e il modo in cui comprendiamo online.

‘Ma ridurre la comprensione in pezzi sempre più piccoli ci rende automi senza attenzione!’ Vi sentiamo gridare. Provate a dirlo ai bambini. Quando impariamo, ci spostiamo dal suono alla parola, dalla frase al paragrafo. Le unità linguistiche sono letteralmente i mattoni con cui ci confrontiamo con il mondo. E non ci sono ragioni per cui la crescente natura modulare del contenuto web dovrebbe diminuire la nostra comprensione, anzi, potrebbe avere la capacità di aumentarla, rendendoci capaci di fare inferenze e di creare noi stessi delle storie piuttosto che leggere passivamente del testo statico.

Ma questi testi modulari non si creano da soli. In qualità di creatori di nuovi contesti online, dobbiamo imparare alcune cose. Quando creiamo il contenuto nei moduli, dobbiamo capire come potrebbe essere compreso: dobbiamo considerare la storia non lineare. Per fare ciò, abbiamo bisogno di conoscere il pezzo finale della comprensione: la coerenza.

Coerenza: mettere tutto insieme#section6

Quando deduciamo e colleghiamo diversi pezzi di contenuto, lo consolidiamo e ne otteniamo il significato. Ci sono quattro modi per fare ciò:

  1. Coerenza referenziale: decifrare di cosa si sta parlando
  2. Coerenza temporare: decifrare quando avviene quello di cui si sta parlando
  3. Coerenza di posizione: decifrare dove sta accadendo quello di cui si sta parlando
  4. Coerenza causale: decifrare perché sta accadendo quello di cui si sta parlando

Ora, questi sono anche gli elementi base dello storytelling: definire un posto e un tempo (temporale e di posizione), personaggi (referenziale) e motivazioni (causale). Quindi, gli elementi dello storytelling sono gli elementi della comprensione. Questo significa che lo storytelling non è un qualcosa che ‘sarebbe bello avere’, ma che è essenziale.

Storytelling in azione: lo shopping online#section7

La narrazione dello shopping è un percorso serpeggiante verso una decisione, indipendentemente da quello che volete acquistare. In questo caso, vogliamo comprare dei vestiti. Per illustrare come funziona lo storytelling in qualcosa di così personale come lo shopping, abbiamo entrambe fatto un acquisto su ASOS.com.

Tanto tempo fa… siamo capitate su una homepage#section8

Randall visita Parigi e vuole comprare delle cose a righe. Randall: “Da grande fan delle magliette a righe e del brie quale sono, provo direttamente con ‘Hello, Paris’. Non è una vera e propria categoria di vestiti ma un’associazione. Le parigine sono belle e burbere (una volta ho visto una donna a Parigi che aveva il broncio mentre andava con i pattini). La mia esplorazione dei vestiti di ASOS è più un’idea di Parigi e le cose che gli associo, ossia, inferenze in grado di elaborare, piuttosto che qualunque cosa ASOS mi dica. La storia è mia ed è il motivo per cui funziona.

Elizabeth entra dalle promozioni dei saldi e poi ricerca il brand. Elizabeth: “Ho comprato delle cose del marchio ASOS in precedenza e sono rimasta delusa dalla loro qualità. Così entro dal minimo comun denominatore, il prezzo, e poi dò un’occhiata per selezionare i brand che so avere una buona qualità. Senza pensarci, sto creando delle inferenze di collegamento tra la mia esperienza precedente sul sito e la mia attuale esperienza.”

In entrambe i casi, la maggior parte della storia viene da noi utenti. Riempiamo gli spazi facendo inferenze, siano esse basate sull’esperienza passata con alcuni brand o associazioni elaborative derivate dalla nostra immaginazione. La conversione in questo caso non riguarda dare la strada più semplice e più diretta dalla scelta all’acquisto. Riguarda permettere agli utenti di creare la propria narrazione coerente, guidata dalle esperienze e dalle associazioni.

La narrazione online riguarda la percezione della comprensione: voi fornite un framework, i vostri lettori riempiono i buchi. Se possono creare coerenza, costituiranno una conversion. Il nostro ruolo come storyteller online è uguale a quello che è da sempre: fornire i mattoncini della storia, il cosa, quando, dove e perché della coerenza e la scintilla che accende i nostri lettori, l’immaginazione.

Illustrazioni: {carlok}

Sull’autore

Elizabeth McGuane / Randall Snare

Randall Snare e Elizabeth McGuane sono giornaliste convertite alla content strategy. Randall è Content Strategy Lead presso iQ Content a Dublino ed Elizabeth è Lead Content Strategist in LBi a Londra (la specularità dei titoli è una coincidenza). Hanno dato vita al blog Mapped come posto in cui parlare di storytelling, contenuto e di qualunque altra cosa stuzzichi la loro fantasia. Potete leggere qui altro su di loro (e sulle lore influenze).

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