Questo articolo è un adattamento dal loro intervento a SXSW 2011: “Toss the Projector: Redefining the Speaker/Audience Dynamic”. Durante il loro intervento, Tim e Chris hanno presentato Donahue, un nuovo e sperimentale tool pensato e creano per Arc90 and Behavior Design con l’intento di abbattere il muro tra il pubblico e il relatore, permettendo al pubblico di interagire direttamente con le idee del relatore per dare inizio ad una conversazione.
Accettare la distrazione#section1
Vi trovate seduti su una sedia non troppo comoda in una grande sala semi-buia. Sul palco, qualcuno sta parlando al microfono. Come le persone che vi siedono accanto, vi trovate lì per ascoltare qualcuno che parli di qualcosa che vi interessa. Il relatore, a sua volta, ha pensato molto all’argomento della sua presentazione, forse una vita intera.
Guardandovi attorno, noterete che i vostri vicini non sono del tutto presenti: alcuni volti guardano verso il basso, brillantemente illuminati, con gli sguardi concentrati non sul relatore ma su uno schermo illuminato. Probabilmente anche voi vorreste tirare fuori il portatile o lo smartphone. In breve tempo, sembra che gran parte dell’attenzione del pubblico sia altrove.
Sia che si tratti di una conferenza di professionisti come SXSW o An Event Apart, di un concerto o di un comizio politico, di un’aula del college o di una sala conferenze, le dinamiche tra relatori e pubblico stanno cambiando. Alcuni suggeriscono che si stanno scollegando.
Abbiamo riflettuto a lungo su questo problema, ossia su come la tecnologia stia cambiando il modo in cui ci concentriamo ed apprendiamo. Ci siamo focalizzati soprattutto sulle conferenze per professionisti, in cui la dinamica della sala conferenze può essere così monotona che alcune conferenze si vantano che le cose migliori accadono nei corridoi!
I relatori danno la colpa di tutto ciò al fatto che il pubblico è dipendente dall’essere connesso e multitasking. Chiedono o perfino obbligano il pubblico a spegnere i portatili. Disabilitano il WiFi, così che le persone non abbiano altra scelta se non quella di ascoltare il relatore. Soluzioni come questa, tuttavia, hanno il sapore del “dare la colpa all’utente”: il peccato cardinale dello user experience design. Sebbene il pubblico sia spesso e volentieri distratto, il pubblico non è il problema.
Viceversa, il pubblico dà la colpa ai relatori in quanto dipendenti da PowerPoint e da elenchi puntati talmente lunghi e annidati da far girare la testa. D’accordo, i relatori hanno bisogno d’aiuto: ci sono molte e ottime risorse per aiutare i relatori, per far aumentare la loro sicurezza, la loro abilità nello stare su un palcoscenico e le loro capacità interpersonali. Piuttosto che allungare questo elenco con un nuovo ausilio, abbiamo scelto di esaminare proprio il format delle presentazioni alle conferenze per professionisti. Noi lo chiamiamo “tecnologia del parlare in pubblico”, intendendo con ciò: (a) riunire le persone in una stanza, (b) dare al relatore un microfono ed un proiettore e (c) permettere al pubblico di fare domande alla fine.
Questo è lo stato dell’arte della tecnologia del parlare in pubblico.
In un mondo in cui ogni pezzo di informazione, con un singolo tocco su uno schermo tascabile in vetro, può portare a sempre più informazioni, le nostre idee devono muoversi più velocemente, le persone hanno bisogno di condividere le idee e di farle rimbalzare in maniera più spontanea che mai, in qualunque momento, ovunque. La tecnologia del parlare in pubblico non ha mantenuto il passo con tutto il resto della tecnologia.
Così ci siamo chiesti: come possiamo migliorare la tecnologia del parlare in pubblico?
Posso avere la vostra attenzione, per favore?#section2
Le presentazioni migliori hanno un attributo comune: danno inizio ad una conversazione, che inizia nella sala conferenze ma che può protrarsi per settimane o mesi. Nelle presentazioni migliori, fantastiche, da far girare la testa, alcune persone del pubblico, costrette dalle idee del relatore e incapaci di trattenere le proprie opinioni, rimostranze o quesiti fino al momento dedicato alle domande, prendono appunti o condividono i propri pensieri su Twitter. Sono completamente assorti dalla presentazione, ovviamente. Ma quando il relatore guarda il pubblico, gli è impossibile distinguere la differenza tra partecipanti zelanti, impegnati a far circolare o a discutere le idee e quelli che stanno leggendo il blog del loro VIP preferito o rispondendo alle e-mail.
Qualche hanno fa, Tim partecipò al Memphis IA (Information Architecture) Summit. Jesse James Garret tenne la sessione plenaria di chiusura. L’impressionante presentazione di Jesse aveva un approccio singolare: senza slide né proiettore, illustrò il suo stimolante punto di vista mentre passeggiava per la sala. Con i suoi appunti in mano (sul suo iPhone), Jesse camminava in mezzo ai suoi colleghi e gli si rivolgeva direttamente. La sua presentazione fu affascinante: chiunque si proclami Architetto dell’Informazione o Interaction Designer piuttosto che User Experience Designer “o è pazzo o sta mentendo”. Garrett ottenne proprio quello che ogni grande relatore spera di ottenere: diede avvio ad una conversazione. La discussione cominciò nella sala e continuò per settimane sotto varie forme. In effetti, ci sono ancora oggi forti opinioni riguardo alle sue idee. Questa presentazione si è impressa nella mente di Tim, ma la parte interessante è che Tim non era presente.
Tim stava correndo all’aeroporto di Memphis per prendere un volo. Ma Tim stava ‘partecipando alla presentazione’ tenendo traccia degli hashtag sul suo iPhone dal taxi, assorbito dalle argomentazioni di Jesse, rispondendo ai tweet e inoltrando quelle idee al suo network. Era un corriere per le idee di Jesse James Garrett. A dispetto della sua posizione fisica, stavano avendo una conversazione.
Questa storia sottolinea che la tecnologia sposta costantemente e fa perfino fare dei balzi in avanti alle norme sociali stabilite: in questo caso, la norma sociale del prestare attenzione fisica e totale al relatore. C’erano delle persone nella stessa sala in cui si trovava Jesse, che apparentemente non erano attente ma stavano in realtà rendendo un grande servizio inoltrando le sue idee. Senza di loro, Tim sarebbe stato escluso dalla conversazione.
Tutte le buone idee sono conversazioni#section3
Le presentazioni alle conferenze, come i fumetti, le riviste ed i film, sono dei media. E si stanno tutti evolvendo allontanandosi dall’eredità del broadcasting.
Dalla stampa fino ai Grandi Media del XX secolo, dagli enormi cartelloni pubblicitari ad AOL, l’informazione è sempre andata da alcuni produttori centrali verso i consumatori. Da Geocities al blogging a The Daily, riteniamo tutti che il modo migliore per condividere le idee sia ancora attraverso pubblicazioni broadcast. Produrre e distribuire, ricevere e consumare.
Questo è vero ancora oggi. Date un’occhiata ad una qualunque app di un magazine per iPad: sostanzialmente, si tratta di un PDF che potete toccare. E’ come la carta. E’ a senso unico. E’ broadcast.
Ma il futuro delle pubblicazioni, dei media in generale, non è broadcast.
In quanto umani, seguiamo un percorso costante nell’intento di rendere più semplice la comunicazione tra di noi. Tutti i media sono influenzati dal nostro desiderio di dialogare, dalla nostra necessità di contribuire alla conversazione. Confrontate I Love Lucy con Lost: le conversazioni riguardanti Lost sono state tanto importanti quanto lo show stesso. Confrontate i tempi andati della radio, con le famiglie che vi si riunivano intorno per conversare di fronte al camino, con i moderni talk show su sport o politica che vengono oggi trasmessi per radio, in cui la conversazione ed il dibattito sono lo show. Confrontate la CNN con Reddit.
Gli sforzi dei media di successo del prossimo futuro dovranno includere l’esperienza, il coinvolgimento e la conversazione.
Anche le conferenze sono conversazioni#section4
Questa rivoluzione della conversazione non ha limiti e sicuramente non rispetta i sottili muri di una sala conferenze. Una presentazione ad una conferenza, come uno show in televisione o un articolo online, costituisce adesso un luogo per conversare. Gli organizzatori di conferenze ed i relatori lo ignorano a loro rischio e pericolo.
I relatori investono molto tempo per preparare una presentazione attorno ad una tesi, creando slide e facendo pratica di fronte ad uno specchio, perché vogliono condividere le loro idee: sperano che le loro idee diventino meme che impongano al pubblico di diffonderli oltre la sala conferenze nei propri social network.
Proponiamo una nuova regola per le presentazioni: se avete come obiettivo qualcosa di diverso dal dare il via ad un meme, cancellate il vostro intervento. Qual è il punto della vostra presentazione se non quello di diffondere le vostre idee? State facendo un discorso o volete che le vostre idee diano inizio ad una conversazione?
La conferenza è un posto perfetto per dare inizio ad un meme. Gli interessi di pubblico e relatore sono allineati: essere esposti a nuove idee e creare delle connessioni con le persone. Entrambe implicano una conversazione.
La prima regola delle grandi presentazioni è che il relatore deve credere completamente in quello di cui si sta discutendo. Abbiamo bisogno di tecnologie che espongano il relatore alle critiche e alle confutazioni. Così, abbiamo deciso di creare una tecnologia che costringa il relatore a credere e ad essere responsabile di tutto quello che dice.
La seconda regola delle buone presentazioni dice che il relatore deve ascoltare attentamente le risposte del pubblico. Ogni volta che le persone condividono le proprie idee con il mondo, indipendentemente dal mezzo che usano, si crea una magnifica opportunità per far crescere quell’idea ben oltre l’intento e l’immaginazione del suo ideatore: ma solo se il relatore rischia tutto e attende con vivo interesse la risposta del suo pubblico.
Il backchannel#section5
Quindi, ecco il nostro problema: sappiamo di dover creare e alimentare le discussioni durante le conferenze. Il problema consiste nel fatto che i relatori si preoccupano troppo di combattere il “backchannel”.
La saggezza popolare delle conferenze vuole che il relatore combatta una strenua battaglia per catturare l’attenzione del pubblico. Da una parte c’è il relatore, armato di splendide slide, di succinti elenchi puntati, con il piglio da comandante sul palco e di un grande discorso. Dall’altro lato ci sono Twitter, Facebook, e-mail, YouTube, etc. Il pubblico sta nel mezzo, diviso tra i flussi di dati.
Quando un relatore vede il volto illuminato dal basso di un membro del pubblico, perde la propria sicurezza e quindi il filo del discorso. Si chiede cosa stia facendo il pubblico: il ragazzo in prima fila starà mandando un’e-mail alla sua ragazza o starà citando su Twitter qualcosa che il relatore ha detto? La donna là in fondo starà commentando il divertente video di un gattino o starà segnandosi un’idea grandiosa che ha appena sentito dal relatore e che la ispira profondamente?
Il backchannel irrita molti relatori. Ma dare il potere al relatore di tagliare fuori il pubblico dal backchannel sarebbe secondo noi la soluzione sbagliata. I relatori non hanno bisogno di nessun potere in più rispetto a quelli che già hanno. Il relatore è armato fino ai denti. Il relatore è già il centro dell’universo. Il pubblico è venuto apposta per ascoltare le sue idee!
E’ ora di dare potere al pubblico, non al relatore. Il pubblico ha bisogno del potere che si merita, o, più accuratamente, i relatori devono riconoscere ed accettare il potere che il pubblico ha già: il potere di lasciare che le loro menti esplorino le idee del relatore e le condividano.
Il pubblico ci sta già arrivando. Ecco il motivo principale per cui è spuntato il backchannel: è nato così il “live tweeting”. Dal momento che le persone vogliono parlare e sono abituate a farlo ogni volta che gli viene in mente una buona idea o ogni volta che sentono parlare di una buona idea.
Sull’attenzione#section6
Se siamo così preoccupati dal perdere l’attenzione delle persone, prendiamoci un momento e chiediamoci: “Cosa c’è di così speciale nell’attenzione? Ma soprattutto, cos’è l’attenzione?” Wikipedia dice che l’attenzione è un “processo cognitivo consistente nel concentrarsi selettivamente su di un aspetto dell’ambiente ignorando altre cose”.
Nel suo libro Brain Rules, John Medina identifica quattro caratteristiche significative dell’attenzione:
1. Le emozioni catturano la nostra attenzione#section7
L’attenzione viene facilmente attratta dalle emozioni, dalle minacce e dai piaceri: le idee che sfidano le nostre convinzioni profondamente radicate, immagini che ci sconvolgono o ci emozionano.
2. Il significato prima dei dettagli#section8
Vogliamo sapere perché qualcosa è importante per noi. Solo allora vorremo spendere il tempo necessario per comprenderne i dettagli.
3. Il cervello non è multitasking#section9
L’idea che il multitasking sia un mito è ormai ben radicata, sebbene un decina di anni fa sembrasse che il multitasking fosse l’inevitabile futuro della coscienza umana. Stiamo imparando a lavorare con e non contro i nostri limiti cognitivi.
4. Il cervello ha bisogno di un break#section10
Crediamo che si debba dare libertà al pubblico, anche se è la libertà di distrarsi o di fare una pausa durante una parte di una presentazione per poi concentrarsi durante un’altra. Questo è il modo in cui le persone apprendono.
Ma noi non riteniamo che il nostro bisogno di prenderci delle pause o la nostra incapacità di essere multitasking catturi bene la natura del problema. Non è un gioco a somma zero in cui sia il relatore sia Twitter catturano l’attenzione del pubblico. Quando un membro del pubblico decide di fare qualcosa oltre a stare seduto e ascoltare, non è necessariamente un tentativo futile di multitasking.
Non è “multitasking” prendere appunti o parlare con il proprio collega durante una presentazione, fintantoché si stia parlando dell’argomento della presentazione. Alcuni lo chiamano “multiplexing”: i task che si sovrappongono sono strettamente collegati tra loro, perfino complementari. L’attenzione non si perde con il multiplexing, anzi, ne viene moltiplicata.
L’attenzione è una preziosa opportunità. Ma l’attenzione sta cambiando perché l’umanità stessa sta cambiando. Con il nostro costante collegamento alla tecnologia stiamo fondamentalmente cambiando come persone. In effetti, stiamo diventando cyborgs. Nel bene o nel male, la tecnologia è parte integrante di come ci ricordiamo delle cose oggi. Siamo sempre connessi. Abbiamo sempre accesso alle informazioni esterne e ai nostri amici. Che significato ha l’attenzione per un cyborg? Noi pensiamo di dover prendere in considerazione, non combattere, questo cambiamento durante lo svolgimento delle conferenze.
Riteniamo di dover aggiungere un quinto punto all’elenco di John Medina, che faccia riferimento ai nostri bisogni sociali e che ci apra la strada ad un’opportunità tecnologica:
5. Le persone sentono l’impulso di reagire alle cose interessanti#section11
Le persone devono essere in grado di reagire alle cose che suscitano il loro interesse. Per rispondere. Chiedere alle persone di non reagire quando sentono qualcosa di interessante va contro tutto ciò che stiamo incessantemente ed inevitabilmente diventando.
E abbiamo bisogno di reagire in maniera significativa. Non solo applaudendo o fischiando, ma comunicando e discutendo. Abbiamo bisogno di dire subito a qualcun altro quello che ci è passato per la testa, dobbiamo scrivere quello che pensiamo di voler ricordare in futuro, dobbiamo articolare esattamente cosa abbiamo pensato al momento prima che ci scappi via.
Il modello del pubblico così rapito dal relatore che si potrebbe sentire uno spillo cadere, impedisce di fatto questo tipo di reazione significativa. Riduce la connessione emotiva del pubblico con il contenuto poiché soffoca la capacità del pubblico di esplorare pienamente i pensieri che hanno avuto in risposta alla presentazione.
Pensate alle sezioni di domande alla fine della presentazione. Se all’inizio della presentazione vi viene in mente una domanda che vorreste fare al relatore, dovrete tacere per la mezz’ora seguente. Tutto quello a cui riuscirete a pensare sarà “OOH! OOOH! Devo fare questa domanda strabiliante!!!” E poi, alla fine, potreste non riuscire nemmeno ad avere la parola in tempo per poterla porre: qualche sbruffone potrebbe prendere il microfono e vendere il proprio prodotto o fare un discorso.
Per via di questi problemi, Cennydd Bowles ha scritto un manifesto chiedendo di porre fine alle sessioni di domande per gran parte delle ragioni citate poco fa. Ma noi pensiamo che dando la possibilità al pubblico di porre le domande o di esprimere le proprie reazioni non appena gli vengono in mente possa aggirare questa lamentela.
Il pubblico dovrebbe essere in grado di registrare le domande in ogni momento e i relatori dovrebbero poter scegliere le migliori domande a cui rispondere. La dinamica della sessione di domande ci ha fatto realizzare che le presentazioni sono interazioni. Così la sfida di creare grandi presentazioni deve essere una sfida di interaction design. La nostra passione, il nostro medium!
Marshall McLuhan ha detto che “il medium è il messaggio”, intendendo con ciò che la natura dei tool che usiamo per condividere le nostre idee influenza profondamente le nostre idee. David Weinberger ha preso quell’idea e l’ha aggiornata in “Noi siamo il medium”: oggi, le idee si diffondono non solo tramite broadcasting e satelliti e altre incredibili tecnologie, ma attraverso le persone che usano quella tecnologia.
Entrate in Twitter, entrate in Donahue#section12
Donahue è l’applicazione sperimentale che abbiamo progettato e creato per esplorare le idee ed i concetti che abbiamo discusso finora, che ha fatto il suo debutto a SXSW il 13 Marzo 2011. Potete vedere l’app ed il suo avanzamento qui: http://www.donahueapp.com.
Donahue è una web app che permette al pubblico di connettersi in maniera più stretta con i punti e le idee del relatore e di condividere le reazioni a quelle idee da parte dei suoi pari, sia nella sala sia al di fuori di questa, durante e dopo l’evento dal vivo.
Abbiamo scelto Twitter come principale canale per le interazioni di Donahue. Perché? Twitter non è nemico dell’attenzione? Noi non lo crediamo. Twitter ha in sé la qualità di essere molto simile alla dinamica di una presentazione. Come una presentazione ad una conferenza, è asimmetrico nel suo core: seguire qualcuno su Twitter equivale a scegliere di ascoltare quello che hanno da dire. Ma è anche un posto per discussioni, permettendo agli utenti di parlare uno con l’altro. Inoltre, Twitter è pubblico. Mette le vostre parole di fronte al mondo, permettendogli di uscire dai confini della sala conferenze, esponendole al mondo perché vengano discusse, criticate e facendo in modo che si evolvano.
Sapevamo che questa dinamica sarebbe stata un’aggiunta interessante nei discorsi in pubblico. Infatti, nel giro di pochi anni, Twitter è emerso come parte de facto della tecnologia della presentazione dal momento che il pubblico lo usa come piattaforma di discussione anche senza il consenso del relatore.
Twitter è anche una sorta di grande cassa di risonanza: le migliori presentazioni finiscono su Twitter, quasi per risonanza. In effetti, i relatori sperano che le loro presentazioni finiscano su Twitter, quasi che Twitter fosse il telegiornale della sera.
Con Donahue, abbiamo deciso di abbracciare Twitter, per far sì che i relatori mandino le proprie idee come tweet (che noi chiamiamo “point”) verso il mondo mentre stanno parlando e per incoraggiare il pubblico, sia nella sala sia fuori, a rispondere e a propagare quelle idee. I partecipanti che usano Donahue hanno una vista limitata ai soli punti del relatore e alle conversazioni su Twitter di quelle persone che hanno deciso di focalizzarsi sull’evento, filtrando il resto dell’universo Twitter e mantenendo i partecipanti concentrati sulle idee del relatore.
L’esperimento Donahue a SXSW è stato un successo, sia per noi due relatori sia per i membri del pubblico, nella sala e in giro per il mondo. Oltre 400 persone hanno partecipato direttamente alla discussione entrando in Donahue con il proprio account di Twitter. Qualche migliaio di risposte sono state inviate via Twitter durante e dopo la presentazione. Ancora più importante, c’è ora un record permanente della presentazione sul web. Donahue ha smesso di collezionare i tweet relativi alla presentazione appena dopo la stessa, ma le nostre idee e le reazioni allo stesso tool si sono susseguite nel network esteso del pubblico nei giorni seguenti.
Come ogni esperimento che si rispetti, abbiamo ottenuto dei risultati e dei punti di vista inattesi. C’erano troppi “point” che venivano pubblicati troppo in fretta. La conversazione in corso nel Twitterverse non era sempre la benvenuta da quelli che non avevano scelto di partecipare alla nostra presentazione. Alcuni partecipanti volevano limitare la conversazione visibile alle loro connessioni su Twitter. In breve, abbiamo appreso che Donahue ha bisogno di incorporare qualche abilità sociale nelle sue caratteristiche tecniche.
Comunque ha funzionato: Donahue è stato il manifesto della nostra tesi. La nostra presentazione è diventata una conversazione.
Stare attenti insieme#section13
McLuhan ha detto “diamo forma ai nostri attrezzi e i nostri attrezzi ci danno forma”. I social media ci hanno cambiato così tanto che adesso ci aspettiamo di essere in grado di usarli in maniera così rapida come ci aspettiamo di aprire la bocca e parlare. Probabilmente ancora più rapidamente. La nostra attenzione è stata modellata e cambiata dai nostri tool: i nostri amici fanno adesso parte della nostra attenzione. Sopprimendo ciò, stiamo negando chi siamo. Siamo animali da social media. E non c’è ragione per cui dovremmo smettere di esserlo quando siamo ad una conferenza.
Una conferenza non è un posto in cui si va a sentire qualcuno che legge la sua pubblicazione sulla sua ricerca o un suo blog post. E’ un posto in cui alcune centinaia di persone si radunano per stare attente insieme. Meglio ancora: è un posto in cui le persone si mettono d’accordo per pensare a delle idee insieme. E per parlarne.
Quando prestate attenzione insieme ad altre persone, pensando insieme a delle idee, e, cosa ancora più importante, parlandone nello stesso momento, beh, è lì che accadono le cose migliori.
Illustrazioni: {carlok}
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