Fatevi guidare dalle emozioni

Eravamo sedute in una market research room nel mezzo di una lunga giornata di interviste con i clienti. Di fronte a noi, una giovane madre ci stava raccontando della sua esperienza di quando aveva portato la figlia al Pronto Soccorso durante un forte attacco d’asma. Stavamo intervistando alcune persone riguardo alle loro esperienze con la sanità per un grande gruppo ospedaliero, ma stavamo incontrando alcuni problemi.

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Primo, lo scopo finale delle interviste era di sviluppare una strategia per il sito web del gruppo ospedaliero, ma quello che avevamo scoperto, nella prima mattinata di interviste volte a creare una customer journey map, era che i siti web dell’ospedale non facevano parte di nessuna esperienza. Questo non ci aveva colto completamente di sorpresa: in effetti, era parte del motivo per cui avevamo innanzitutto raccomandato di fare delle customer journey map. L’ospedale aveva molto contenuto riguardante le malattie sul proprio sito e volevamo vedere se qualcuno avesse mai pensato di accedere a quel contenuto per fare una ricerca sui sintomi. La risposta era un clamoroso no. Alcune persone dicevano cose come: “Hmm, non ho mai pensato di andare sul sito web di un ospedale. È un’idea interessante.”. Altri non sapevano nemmeno che gli ospedali avessero dei siti web. E anche se avevamo previsto questa risposta, la schiacciante consistenza su questo punto cominciava a far leggermente uscire di testa il nostro cliente e, in particolare, stava cominciando a far impazzire la persona il cui lavoro era di rifare il design del sito.

La seconda questione era che le nostre interviste stavano facendo abbastanza fiasco. Le persone rispondevano alle nostre domande ma non c’era passione dietro alle loro risposte, il che rendeva difficile determinare se le loro interazioni con l’ospedale avessero deluso le loro aspettative. In parte ce lo aspettavamo: dopo tutto, non ogni customer journey è una corsa mozzafiato. Le storie di alcune persone riguardavano sintomi banali. Una storia era: Avevo questa strana cosa sulla mano e mia moglie mi dava il tormento perché me la facessi controllare e così ho fatto. Il dottore mi ha dato una pomata ed è sparita.. Un’altra era di una persona con il mal di gola. Non ci aspettavamo molta emozione da una storia sul mal di gola e le nostre attese non furono deluse. Ma tra le persone che avevano avuto esperienze banali c’erano persone con condizioni croniche, o che si prendevano cura dei propri bambini, coniugi o genitori con malattie debilitanti, o persone a cui era stato diagnosticato un cancro. Ma anche queste persone sono state piuttosto normali.

Stavamo combattendo con due problemi che dovevamo risolvere simultaneamente. Primo: cosa fare nei tre giorni rimanenti con le interviste pianificate, quando avevamo già scoperto nella mattina del primo giorno che nessuno aveva visitato il sito dell’ospedale. Secondo: come avremmo potuto ottenere delle informazioni utili per il nostro cliente. Pensavamo che se avessimo scavato un po’ più in profondità nelle storie individuali di queste persone, avremmo potuto produrre qualcosa di veramente significativo non solo per il nostro cliente ma anche per le persone che sedevano con noi nelle sale intervista.

Stavamo seguendo il protocollo standard per il journey mapping: suggerire agli utenti di raccontarci una loro specifica esperienza nell’ambito sanitario vissuta di recente, per poi chiedere loro ad ogni step cosa avevano fatto, come si sentivano e quello a cui stavano pensando. Ma la giovane madre che ci stava raccontando dell’asma cronica della figlia ci ha fatto cambiare approccio.

Le abbiamo chiesto: “Come si sentiva quando è arrivata al Pronto Soccorso?”.

“Ero terrorizzata”, disse, “Pensavo che mia figlia sarebbe morta”. E poi si mise a piangere. Come professionisti della user experience ricordiamo costantemente a noi stessi che noi non siamo i nostri utenti, ma noi due siamo entrambe madri e in quel momento, sapevamo esattamente cosa intendesse la donna di fronte a noi. L’intera chimica della stanza cambiò. Il soggetto dell’intervista di fronte a noi non era più il soggetto dell’intervista. Era una madre che ci stava raccontando il giorno peggiore della sua vita. Abbiamo tutti preso la scatola dei fazzolettini e tre di noi si sono asciugate gli occhi contemporaneamente.

Da quel punto in avanti non solo ci ha raccontato la sua storia come se fossimo tre persone sedute di fronte a uno specchio semi-riflettente. Ci ha raccontato la sua storia nel modo in cui l’avrebbe raccontata alla sua migliore amica.

In questa intervista, abbiamo realizzato che non si trattava solo di un altro progetto. Avevamo entrambe avuto lunghe carriere nella user research e nella user experience, ma non avevamo mai lavorato a un progetto che coinvolgesse il giorno peggiore nella vita di qualcuno. Ci possono essere delle emozioni coinvolte nell’uso di uno strumento di lavoro frustrante o nel fare acquisti per il regalo perfetto, ma nulla può paragonarsi al giorno in cui vi trovate a correre al pronto soccorso con vostro figlio.

Quindi, abbiamo deciso di buttare il focus sul sito web dell’ospedale e di concentrarci su dove le emozioni ci stavano portando e confidare che saremmo state in grado di riconciliare i nostri risultati con i bisogni del nostro cliente. Noi, come esseri umani, vogliamo sentire altri essere umani che ci raccontano le difficoltà del prendersi cura di una madre con l’Alzheimer. Volevamo sapere come ci si sente a ricevere una diagnosi di cancro dopo un lungo viaggio fatto di molti dottori su un ampio spettro di specialità. Volevamo capire cosa avremmo potuto fare, nel nostro piccolo, per aiutare a rendere questi Giorni Terribili un po’ meno orribili, meno spaventosi e meno fuori controllo. Sapevamo che il cliente era dietro lo specchio semi-riflettente, preoccupato della navigazione del sito web, ma sapevamo anche che saremmo giunti in un posto molto più importante e significativo seguendo il filo di queste storie.

Avevamo anche realizzato che non tutte le customer journey sono uguali. Volevamo ancora capire come fossero le journey delle persone con il mal di gola e degli strani rash cutanei alle mani, perché anche questi erano importanti. Quelle journey ci avrebbero raccontato dei problemi di routine che tutti conosciamo ogni volta che entriamo in contatto con l’establishment medico: la frustrazione di attese infinite nel pronto soccorso, il fastidio di trovare qualcuno che possa visitarci in un momento in cui siamo liberi dal lavoro, l’importanza di un dottore che ci ascolti. Ma vogliamo anche giungere alle storie appassionate in cui ci sono in gioco interessi ed emozioni più grandi, quindi abbiamo aggiustato lo stile delle nostre domande di conseguenza. Per le storie mediche di routine ci siamo attenute al nostro protocollo standard, mentre per le journey con interessi più alti, quelle che avrebbero potuto lasciarci quasi in lacrime o che ci avrebbero fatto fare dei respiri profondi alla fine dell’intervista, procedevamo più lentamente. Davamo ai soggetti delle nostre interviste un po’ di spazio per fermarsi, sospirare e piangere. Permettevamo che ci fosse silenzio nella stanza. Cercavamo di non far sembrare strana la condivisione con due estranee dei loro momenti più dolorosi.

Una volta completate le nostre interviste alla fine della settimana, avevamo un numero incredibilmente ricco di storie a cui attingere, così tante, in realtà, che eravamo in grado di realizzare una digital strategy che andasse ben oltre quello che avrebbe fatto il sito web dell’ospedale. (Continuavamo a chiederci: Sito web? A chi importa del sito web?). Abbiamo realizzato che in molti modi, ci stavamo limitando pensando a una website strategy o addirittura a una digital strategy. Mettendoci in connessione con i contenuti emotivi delle conversazioni, abbiamo cominciato a pensare a una customer strategy, una che sarebbe stata indipendente dal medium.

In Designing for Emotion, Aarron Walter ci incoraggia a “pensare ai nostri design non come una facciata per l’interazione ma come persone con le quali il nostro audience possa avere una conversazione ispirata.”. Man mano che ci spostavamo verso la realizzazione di raccomandazioni strategiche, pensavamo molto a come l’ospedale (come la maggior parte degli ospedali) interagiva con i propri pazienti come entità burocratica, spersonalizzata. Era come se i pazienti traboccassero centinaia di bisogni differenti e il gruppo ospedaliero stesse semplicemente in silenzio. Pensavamo anche a cosa avrebbe fatto un umano cooperativo nei vari stage della journey e abbiamo scoperto che c’erano molti punti in cui avrebbe fatto molta differenza buttare fuori informazioni ai clienti.

Abbiamo sentito persone a cui è stato diagnosticato un cancro che hanno detto: “Dopo aver sentito la parola ‘cancro’ non ho sentito più niente, così poi sono andato a casa e ho cercato su Google, completamente nel panico.”. Quindi, abbiamo raccomandato che il giorno dopo aver fatto una diagnosi così devastante a qualcuno, ci sia una email di follow-up con maggior informazioni, fonti affidabili di informazioni e video di altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza e come è stata per loro.

Abbiamo sentito da persone che hanno passato l’intera giornata aspettando che i propri cari uscissero dalla sala operatoria, senza sapere quanto ci sarebbe voluto e preoccupandosi che se si fossero allontanate per un caffè, si sarebbero perse un annuncio cruciale all’altoparlante. Come risultato, abbiamo proposto che i parenti ricevessero aggiornamenti via sms come: “La chirurgia di vostra figlia sta per iniziare. Crediamo ci vorrà circa un’ora e mezza. Vi manderemo un altro messaggio non appena verrà spostata nella sala post-operatoria.”.

Le storie erano così forti che credevamo avrebbero aiutato il nostro cliente a rifocalizzare la propria attenzione non più sul sito web ma sui milioni di altri touchpoint ed opportunità che abbiamo visto essere d’aiuto nel rendere il peggior giorno della vita delle persone un po’ meno orribile.

E, in gran parte, questo è quello che è successo. Abbiamo scelto alcune journey che pensavamo fornissero una finestra sul range di storie che avevamo ascoltato. Man mano che spiegavamo passo passo alcune delle journey più intense, si udivano dei sussulti nella stanza: la storia di un dottore che si era rifiutato di vedere una paziente dopo che questa aveva portato i risultati delle sue stesse ricerche sulla condizione della figlia; una donna con una malattia in peggioramento che aveva visto più dottori per cercare di avere una diagnosi; un uomo che si prendeva cura della suocera, così debilitata dall’Alzheimer che cercava regolarmente di arrampicarsi fuori dalla finestra della stanza del secondo piano.

In Design for Real Life, Sarah Wachter-Boettcher e Eric Meyer notano che “più le persone si aprono con voi nella fase di ricerca” più possono essere realistiche le vostre personae. A sua volta, più sono realistiche le personae, più è semplice immaginare i punti di crisi. E questo è esattamente quello che ha cominciato a succedere man mano che condividevamo le journey dei nostri utenti. Raccontando quelle storie si avvertiva un cambiamento nella stanza. I clienti cominciavano a condividere le proprie esperienze indimenticabili legate alla sanità. Una donna ha tirato fuori il suo telefono e ci ha mostrato delle foto della sua piccolissima bimba prematura, con la fede del marito attorno al polso mentre era nell’incubatrice, circondata da tubi e cavi. Quando abbiamo fatto una pausa abbiamo sentito un numero di persone dal lato del cliente parlare dei dettagli di queste storie e tirare fuori delle idee su come avrebbero potuto essere d’aiuto che andavano così tanto oltre il sito dell’ospedale che era difficile credere che quello fosse stato il nostro punto di partenza. Una persona sottolineò che un certo numero di journey erano iniziate in Pronto Soccorso e suggerì che magari l’azienda avrebbe dovuto cercare di espandere le sue strutture di pronto soccorso.

Alla fine, la ricerca ha cambiato l’approccio dell’azienda al sito.

Uno dei contatti del nostro cliente mi ha detto: “Abbiamo parlato delle storie per tutta la durata del progetto. C’era così tanta reale umanità in esse.”. Un anno dopo la chiusura del progetto (le nostre raccomandazioni devono ancora essere implementate anche a causa di cambiamenti nell’organizzazione del gruppo ospedaliero), il nostro cliente ha ripetuto rapidamente i nomi di alcuni nostri clienti tipo. Vale la pena notare, inoltre, che sebbene le nostre raccomandazioni si siano spinte molto più in là della portata originale del progetto, il cliente ha apprezzato il nostro essere in grado di prendere decisioni strategiche consapevoli sul percorso da seguire. Il loro bisogno immediato era un sito rinnovato, ma una volta capito che questo bisogno era nulla in confronto a tutti gli altri posti in cui avrebbero potuto avere un impatto sulle vite dei propri clienti, hanno cominciato a discutere animatamente su come rendere questa visione una realtà.

Per noi, questo progetto ha cambiato il modo in cui ragioniamo sui progetti e ha mostrato che il framework di una strategia per un sito web o addirittura una “digital” strategy non ha sempre senso, perché man mano che il mondo digitale si fonde sempre di più col mondo reale, man mano che i clienti passano le proprie giornate tra siti web, app, messaggi e interazioni di persona, diventa sempre più importante per i designer e i ricercatori eliminare le distinzioni che abbiamo creato attorno al luogo dove avviene l’interazione o dove l’emozione raggiunge il culmine.

Prima di tuffarcisi, però, è importante preparare il team su come e, ancora più importante, perché le vostre domande dell’intervista sondino il modo in cui si sentono i clienti. Quando arrivate nella sala interviste, riuscire a far emergere queste storie emotive richiede di stabilire un rapporto emotivo rapidamente e di renderla un luogo in cui i partecipanti possano esprimersi.

Essere in grado di stabilire questo rapporto ha cambiato anche il nostro approccio ad altri progetti: abbiamo visto che l’emozione può giocare un ruolo nella customer journey nei posti più disparati. In un recente progetto per un cliente che vende enterprise software, abbiamo intervistato un loro cliente che era recentemente passato per un’esperienza di system upgrade che aveva toccato decine di migliaia di utenti. Non era andata bene ed era sconvolto dall’esperienza. “La pressione sul nostro team era incredibile. Non farò mai più una cosa del genere”, ci ha detto. Anche per questo prodotto altamente tecnico, la paura, la frustrazione, la rabbia e la fiducia erano elementi significativi della customer journey. Questo è un viaggio in cui il cliente ha decine di migliaia di persone arrabbiate con lui se il prodotto che ha comprato non ha buone prestazioni e potrebbe addirittura perdere il lavoro se la situazione si mettesse davvero male. Quindi, anche se il settore dell’enterprise software non grida esattamente “peggior giorno della mia vita” nello stesso modo degli ospedali, anche qui possono esserci in ballo emozioni forti.

A volte ci dimentichiamo che i clienti sono esseri umani e gli esseri umani sono guidati dalle emozioni, specialmente durante eventi critici della vita. Prima di entrare nella sala interviste pensavamo che avremmo dissotterrato dei problemi nascosti sul parcheggio al Pronto Soccorso, sul muoversi all’interno dell’ospedale e, ovviamente, questioni con i contenuti del sito. Ma questi problemi sono stati così eclissati da tutte le emozioni che circondano una visita in ospedale che sono diventati irrilevanti. Non essere in grado di trovare parcheggio al PS è fastidioso, ma più importante era non sapere cosa si sarebbe dovuto fare poi perché vi era appena stato detto che avete un cancro o perché temevate per la vita di vostra figlia. Scavando più a fondo in questi insight centrali, siamo stati in grado di dare raccomandazioni che andavano oltre i siti web e al contrario prendevano in considerazione l’intera esperienza umana.

Per i ricercatori e i designer il cui compito è migliorare l’esperienza, è essenziale avere una comprensione della customer journey nel suo intero agglomerato di emozioni confuse. Indipendentemente dai touchpoint con cui interagisce il vostro cliente, le emozioni sono spesso quelle che legano tutto, particolarmente in circostanze in cui c’è tanto in gioco. I clienti del vostro cliente saranno probabilmente frustrati o vivranno il giorno peggiore della loro vita? Nell’ultima tipologia di situazioni, riconoscete che otterrete insight più efficaci quando gestirete direttamente le emozioni.

E, quando è appropriato, non abbiate paura di piangere.

Sull’autore

Hana Schank

Hana Schank è una experience designer and strategist che divide il proprio tempo tra Washington DC e Brooklyn. È la founder di CollectiveUX, una società di consulenze che opera con startup e aziende Fortune 500 per migliorare la loro user experience. Nel maggio 2016, si è unita al United States Digital Service alla Casa Bianca, dove sta lavorando per portare lo user-centered design nel Department of Homeland Security. Potete seguirla su Twitter, ma non dice molto se non sotto forma di articoli.

Jana Sedivy

Jana Sedivy aiuta le aziende a prendere decisioni riguardanti prodotti e strategie basandosi su dati clienti del mondo reale. È la founder e principal di Authentic Insight, che produce la ricerca Voice of Customer e strategie per aziende tech business to business. Ha 21 brevetti relativi a tecnologie di user experience. Ogni luglio mette sott'aceto 45kg di cetrioli.

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