Il design universale nella vita reale

Quello che tollerate definisce la vostro comunità.

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—Heather Champ a Web Directions South 2012

Qui su A List Apart si parla spesso della progettazione per il futuro, della necessità di essere profondi, accessibili, con il pensiero rivolto al domani nonché compassionevoli. Si discute della creazione di un web che sia utile alla maggior parte di noi, in maniera sempre più esaustiva.

Tuttavia, quando si tratta di creare le nostre community, gli eventi e le conferenze in cui apprendiamo nuove capacità e discutiamo di nuove idee, passiamo troppo poco tempo a prendere in considerazione l’inclusività. Accettiamo programmi di conferenze pieni di uomini bianchi perché “non siamo riusciti a trovare nessun altro speaker qualificato” o “tutte le donne a cui l’abbiamo chiesto hanno risposto di no”. Ospitiamo degli hackathon per soli uomini pieni di ragazze che servono birra. A volte, diamo persino un posto sul podio direttamente alle molestie e al vetriolo.

Così non va bene.

Se l’ideale del web è l’universalità, come sostiene Sir Tim Berners-Lee, non dovremmo fare di questo principio la guida anche per l’organizzazione delle nostre community? Se vogliamo che il web funzioni per tutti, allora perché non abbiamo bisogno di una professione del web che rifletta proprio questa diversità? Dopo tutto, il modo migliore per comprendere il pubblico per cui progettiamo è conoscere questo pubblico, e il modo migliore per conoscere le persone è ospitarle, con tutte le loro differenze di prospettiva e di background, e ovviamente anche con le loro differenze di età, sesso, razza e linguaggio.

Starete pensando: “Ma io non voglio escludere nessuno”. “Non sto cercando di tenere lontane le donne o le persone di colore o quelli con background differenti”. Sono sicura che sia vero, tuttavia la nostra comunità è tutto fuorché varia: secondo i risultati della nostra Survey for People Who Make Websites del 2011, solo il 18% di voi risulta essere donna e ancora di meno sono le persone non bianche. Aggiungete il fatto che è molto più probabile che le donne, le persone di colore e quelli che vivono al di fuori degli Stati Uniti percepiscano discriminazione nella propria carriera e comincia a diventare difficile far finta che vada tutto bene. In effetti, il sessismo agli eventi “geek” è così prevalente che c’è un intero wiki dedicato a catalogare gli incidenti noti.

Indipendentemente dal modo in cui partecipate alla web community (organizzando conferenze, ospitando serate di hack, pubblicando articoli, ospitando i meetup o semplicemente partecipando agli eventi), avete il potere di fare qualcosa per migliorare la situazione e portare il web più vicino ai suoi ideali. E non è così difficile come potreste pensare.

Abbiamo già gli strumenti#section1

La capacità del web di connettere le persone, di facilitare la comprensione e di amplificare le idee ci ha permesso di creare cose incredibili. Ci ha anche dato una varietà di lezioni su come progettare comunità prospere e premurose: lezioni che è ora di applicare a noi stessi, per raggiungere questo obiettivo a un livello più personale e più intimo.

Cosa possiamo imparare dalla progettazione delle comunità online, dai sistemi sociali come Flickr e Facebook? Io propongo quattro skill fondamentali: dare delle aspettative, rendere semplice riportare un abuso, incoraggiare la partecipazione di diversi gruppi di persone ed evitare di dare la colpa agli utenti.

Dare delle aspettative sul comportamento#section2

Il giusto tono di voce può far tramutare la confusione di qualcuno in fiducia, può far cambiare lo scetticismo in ottimismo, la noia in curiosità. Il tono di voce sbagliato può assopire l’interesse di qualcuno, fa cambiare l’attesa in delusione, la frustrazione in rabbia.

—La guida Voice & Tone di MailChimp

Le comunità online sono terreno fertile per le incomprensioni. Senza il beneficio degli indizi non-verbali come i cenni con il capo, i sorrisi, i movimenti e la postura, interpretiamo in maniera errata il sarcasmo, le nostre battute non vengono capite, i nostri sentimenti vengono feriti. Quindi, cosa facciamo quando creiamo queste comunità, oltre a scrivere le condizioni del servizio (esplicite)? Diamo delle aspettative implicite.

Le aspettative implicite includono la voce e il tono di un’interfaccia, dalla form di registrazione ai messaggi di benvenuto, dai reminder via email alle notifiche degli errori. Anche con il design: le scelte tipografiche, il colore e il layout influenzano tutte il modo in cui un utente vede un’esperienza e lo aiutano a formarsi un’impressione non solo su cosa sia il sito, ma anche sul modo in cui appare e su come ci si deve comportare in quel posto. Con ogni singolo pezzo di contenuto con cui comunicate, modellate il discorso che vi aspettate dagli altri.

Oltre ad avere regole di condotta esplicite (e istruire dei volontari per rinforzarle), potete anche creare questo tipo di aspettative implicite nella vita reale. In effetti, se organizzate eventi, avete già dei modelli di comportamento: le persone che salgono sul palco. Messi su un piedistallo, sia letteralmente sia figurativamente, il comportamento e le azioni dei vostri speaker e dei vostri organizzatori diventano la norma del vostro evento: il loro tono diventa il tono del pubblico.

È compito vostro essere sicuri che sia il tono giusto.

Se siete i responsabili, parlate con i presentatori, gli organizzatori e i volontari riguardo alle aspettative che volete dare. Ricordategli che le loro azioni sono in evidenza e che avranno eco per tutto l’evento. Dategli il potere di modellare quei tipi di comportamento che volete vedere e siate espliciti su cosa è inappropriato (come le slide che trattano le donne come oggetto o le dichiarazioni che emarginano gli spettatori che non sono cittadini USA).

Se avete scelto gli speaker giusti, tutto ciò non intaccherà minimamente la loro creatività.

Fornite dei luoghi in cui è facile per riportare un abuso#section3

Immaginate una quattordicenne che entra in Facebook e scopre di essere stata chiamata sgualdrina e taggata in foto oscene da un compagno di classe che vuole rovinarne la reputazione. Ha già abbastanza problemi senza bisogno anche di litigare con un’interfaccia che le rende difficile fermare tale abuso, giusto? Ecco perché Facebook mette a disposizione l’opzione di cancellare qualunque cosa venga pubblicata sulla propria pagina, insieme al post stesso, e di bloccare un utente e riportarne un abuso, semplicemente visitando il profilo di quell’utente.

Ora, pensate all’ultima conferenza a cui avete partecipato. Se foste stati molestati, avreste saputo dove andare a cercare aiuto? Ci sarebbe stato un posto chiaramente dedicato a questi problemi? O vi sareste limitati a inviare messaggi su Twitter a un generico avatar della conferenza, non sapendo chi ci fosse dall’altra parte? Vi sareste recati a un brulicante banco registrazioni per esporre in pubblico le vostre lamentele?

Avreste detto qualcosa?

Io non l’ho fatto. Un paio di anni fa, mi furono fatte delle avances da un dipendente dell’azienda che organizzava la conferenza – un uomo molto più vecchio di me, che era anche cliente del mio datore di lavoro dell’epoca. Avevamo bevuto dei drink insieme a un altro mio collega e durante questa pausa avevamo fatto dei discorsi da cocktail riguardanti gli affari e i nostri coniugi. Dopo esserci dati la buonanotte, e circa due secondi dopo aver saputo che sarei stata sola, mi mandò un sms insistente e aggressivo, che lasciava intendere che avessi già acconsentito ad una liaison. Ero disgustata e furiosa, ma non sapevo bene cosa fare: era il mio contatto principale nella sua azienda e per di più conosceva bene il proprietario della mia azienda. La prospettiva di spiegare tutto questo più (e più volte) a persone che non ero sicura avrebbero capito mi sembrò come un’altra imminente umiliazione.

Quindi lasciai perdere e passai dei mesi a vergognarmi di me stessa per questa cosa.

Nessun organizzatore di eventi vuole che i partecipanti, soprattutto quelli che pagano centinaia o migliaia di dollari per il biglietto della conferenza, si sentano in questo modo, ma se siete voi i responsabili, dovete fare di più che semplicemente volere. Dovete pianificare e dovete fare in modo che sia chiaro per le persone che partecipano che c’è un posto dove discutere di questi problemi, prima che si verifichino episodi sgradevoli.

Ovviamente è difficile ascoltare il racconto di comportamenti non appropriati, ma non importa quanto inopportuno sia per voi, vi assicuro che è molto peggio per la persona che è stata messa a disagio o in pericolo, che sta cercando di non crollare mentre vi racconta l’episodio in questione e che è spaventata, pensare che ve lo dimenticherete e basta.

Non permettete che accada. Se organizzate eventi, nominate una persona o fornite un luogo, sia esso virtuale o fisico, fin dalle fasi iniziali dell’organizzazione. Promettete riservatezza e rendetene nota l’esistenza sul vostro sito o scrivendolo nell’elenco dei benefici aggiunti. Non avete bisogno di renderlo spaventoso: basta includere una semplice nota che ricordi ai partecipanti che tutti devono sentirsi i benvenuti e, se non si sentono così, c’è un posto dove andare e una persona che potrà ascoltarli.

Se vi offrite come volontari o presentate un evento, considerate importante chiedere quali sono le policy per le molestie o per i comportamenti non appropriati: l’evento ha queste politiche? Quali sono? Sollevare la questione potrebbe essere tutto quello che vi serve per far sì che l’organizzatore pensi a tali questioni.

Qualunque cosa facciate, fate in modo che non sia un peso per qualcuno trovare il modo di dire che si è stati vittime di un sopruso. Se lo fate, molti non vi confesseranno mai quello che hanno vissuto.

Promuovere la diversità per favorire la longevità#section4

Nel 2010, quando Twitter cominciò per la prima volta a suggerire persone da seguire, fece un errore da rookie: raccomandò le stesse persone a tutti, in ogni occasione. Questo creò una dinamica per cui “i ricchi diventarono più ricchi” comeha fatto notare Heather Champ, che è nota per il suo lavoro di costruzione di community come Flickr. In altre parole, rese ancora più grandi alcuni nomi già molto noti (Bieber vi dice qualcosa?), ma non riuscì nell’intento di favorire connessioni più profonde o di creare community più robuste. Con l’andar del tempo, Twitter si rese conto che questo meccanismo non stava funzionando e rispose con degli importanti aggiornamenti progettati per dare agli utenti dei suggerimenti più vari e rilevanti.

Quando progettiamo gli eventi per la nostra comunità, è importante chiedere la stessa cosa: stiamo assegnando ogni anno il keynote sempre alle stesse persone? Stiamo creando una divisione tra chi ha e chi non ha, quelli che hanno già esperienza di talk a conferenze e quelli che non ne hanno? Se è così, chi stiamo lasciando indietro? Che valore potrebbero portare, quali nuove connessioni potrebbero creare attraverso la nostra comunità, se al contrario amplificassimo le loro voci? Cosa non sta imparando il nostro settore, dove stagna il nostro settore, perché stiamo invitando le stesse persone che fanno lo stesso show ogni sera?

La monotonia è noiosa, è prevedibile, è passata.

Forse peggio di tutto, questa monotonia non permetterà di vendere biglietti o intrattenere il pubblico ancora per molto tempo. I migliori eventi appaiono freschi e diversi ogni anno: portano avanti una varietà di voci, raccontano una serie di storie e condividono molte prospettive. Cambiano e si adattano proprio come il web.

Da spettatore, potreste sostenere di voler vedere degli speaker famosi e con molta esperienza e non c’è nulla di sbagliato in tutto questo: è normale cercare dei programmi che elenchino qualcuno di questi grandi nomi. Ma quante volte avete guardato una lista di speaker e avete pensato “accidenti questo tizio è dovunque!”?

I migliori eventi evitano questo tipo di monotonia dovuta alla ripetizione degli stessi speaker inserendo nei programmi delle facce e delle idee nuove, e richiedendo di cercare attivamente nuove voci. Se state cercando un talento, chiedete agli speaker del passato chi hanno letto recentemente. Setacciate Twitter per dei blog post interessanti con l’hashtag del vostro settore. Invitate gli spettatori di lunga data a inviare un talk. Considerate se le donne possono declinare i vostri inviti a parlare per ragioni che non avevate considerato e gestite anche queste.

Una lista di speaker piena di star è in grado di generare rumore, ma una formazione diversa aggiunge texture, profondità e colore. Aggiunge ricchezza e pienezza. Fatta bene, fa in modo che le persone si ricordino la maniera in cui il vostro evento ha cambiato il loro modo di pensare e sentire, non solo quale celebrità internet ha fatto il keynote.

Non date la colpa agli utenti#section5

Gli utenti non sono perfetti: sono impegnati, distratti, umani.

Quando progettiamo per gli umani, sappiamo che di dover essere indulgenti, che quando hanno bisogno di aiuto non possiamo trattarli con superiorità, che si meritano rispetto, comprensione e compassione.

Forse più di tutto, sappiamo che quando non riescono a portare a termine un’azione, è il nostro lavoro a dover migliorare.

Lo stesso vale di persona. Tutte le volte che trovate una scusa per una cattiva esperienza (“Era solo per scherzare, non so perché tu ti sia offeso così tanto.” o “Non stiamo cercando di escludere nessuno, dovete immaginare le cose!”) state dando la colpa ai vostri utenti. State rendendolo un loro problema, non vostro.

Mi sono sentita anche io così. Recentemente, sono stata avvicinata da un organizzatore di conferenze a un happy hour di un evento ufficiale. Questo signore ha sempre avuto un atteggiamento un po’ sopra le righe (troppi baci sulle guance, troppi contatti, troppi abbracci troppo stretti, troppo di tutto), ma l’ho sempre ignorato, immaginando che non valesse la pena perderci troppo tempo.

Mi sbagliavo. Una volta, ho messo in discussione qualcosa che aveva detto nella sua presentazione e che io consideravo come contraddittoria: la situazione prese la piega sbagliata. Si mise a urlarmi contro, in pubblico, puntando il dito contro di me con un atteggiamento aggressivo. Continuavo a dire che non ero sicura del perché fosse così arrabbiato, ma andò avanti a strillare per quella che mi sembrò un’eternità. Alla fine gli dissi che il modo in cui mi stava parlando era inappropriato, che volevo essere trattata con rispetto e che se avesse continuato così non gli avrei mai più rivolto la parola.

Ero passata dall’essere qualcuno che egli riteneva potesse palpeggiare a qualcuno a cui poteva strillare, e quella combinazione mi lasciò scossa. Mi sentivo degradata, umiliata.

Ma ancora peggio fu che quando cercavo di spiegare alle persone che cosa fosse successo, mi sentivo emarginata. Alcuni dissero: “Probabilmente era ubriaco!” o “L’hai solo fatto innervosire! Sai com’è.”.

Non importava davvero che io avessi detto qualcosa di controverso che lo fece scattare. Il disaccordo e le discussioni non sono il problema: la sua risposta era stata offensiva e inappropriata, se non addirittura oltremodo sessista, e scusare il suo pessimo comportamento lo rigirò in un mio errore: se l’avessi solo evitato quando stava bevendo, se non gli avessi fatto alcuna domanda, se non lo avessi “irritato” così tanto, allora tutto questo non sarebbe successo.

Sapete quanto rendono gli utenti oltremodo frustrati i messaggi di errore accondiscendenti, intrisi di colpa, come “ERRORE. RIEMPIRE TUTTI I CAMPI CORRETTAMENTE.”? Non c’è differenza in questo caso: dare la colpa a qualcuno che è stato trattato male rende più dolorosa un’esperienza che già di per sé è alienante, isolante; fa sentire incompetenti e fa vergognare.

È come la vecchia storia del dire a una donna che non avrebbe dovuto indossare una gonna corta se non avesse voluto essere molestata. Ed è un problema che potete combattere anche se siete solo spettatori di un evento, prendendo una posizione contro il comportamento negativo: quella che addossa tutta la colpa alla persona che è davvero responsabile.

Dipende solo da noi#section6

Non fingo che le mie esperienze siano tragiche: non mi hanno spaventato né sono stata aggredita fisicamente. La mia vita continua.

Ma le mie storie non sono uniche. Potrei intrattenervi per ore con aneddoti di amici e colleghi, soprattutto donne (ma non solo), che hanno messo il proprio tempo e la propria passione e attenzione nella preparazione di articoli e presentazioni, solo per essere umiliati o marginalizzati; persone che hanno scelto di non parlare delle proprie esperienze negative per paura di ritorsioni; persone che hanno smesso di partecipare agli eventi o di dare presentazioni perché è troppo difficile continuare a sorridere mentre ci si sente esclusi, degradati o attaccati. Invece di parlare degli altri, ho preferito raccontarvi le mie esperienze, che avrei voluto non aver vissuto. Storie che non ero sicura che avrei mai condiviso.

Le condivido adesso perché credo che noi abbiamo il potere di migliorare le cose.

Sappiamo già come fare scelte di design che supportano l’inclusività, creano delle aspettative negli utenti e modellano le interazioni che vogliamo. Non ci sono scuse per non sistemare questa situazione ma in effetti c’è il reale pericolo che non proviamo a cambiarla.

Abbiamo passato due decenni a parlare di un web inclusivo e flessibile. Abbiamo dedicato innumerevoli ore a creare spazi in cui possano prosperare conversazioni e relazioni. Più tolleriamo una comunità che esclude gli altri, più noi, come settore, veniamo definiti dall’esclusione, più rimaniamo lontani da quell’universalità per cui abbiamo lavorato così duramente.

Illustrazioni: {carlok}

Sull’autore

Sara Wachter-Boettcher

Sara Wachter-Boettcher è content strategist, scrittrice ed editor-in-chief di A List Apart. Una sostenitrice del contenuto significativo, memorabile e future-friendly, Sara è l'autrice di Content Everywhere di Rosenfeld Media, parla spesso alle conferenze ed è una blogger occasionale. Vi rimproverà se saltate la colazione.

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