Accesso al network: trovare community creative e lavorarci

Sembra che di tanto in tanto si diffonda in internet una curiosa lamentela: si dice che il “design” sia morto. La critica è che non si generano più idee originali, tutte le cose nuove vengono rapidamente adottate e copiate in massa, portando concettualmente ad ulteriore sterilità. Come conseguenza, si producono tonnellate di articoli i cui autori si lamentano dello stato delle community in cui lavorano.

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Quello che la gente vede è un riciclo senza fine all’interno del proprio gruppo, con davvero poca estensione in altre discipline o network. Troppo spesso parliamo delle nostre design communities e network come se fossero risorse da usare, piuttosto che gruppi di persone.

Anthony McCann descrive i due modi principali in cui vediamo i network creativi e i digital commons:

Abbiamo questi due modi di dire: “commons” come un insieme di risorse da gestire e “commons” come un’alternativa ad affrontare il mondo come composto di risorse.

Una visione è che le community siano essenzialmente un insieme di contenuto generato dagli utenti. Quel contenuto disponibile gratuitamente è lì per essere esaminato: le migliori idee vengono estratte e re-impacchettate per trarne profitto o progetti futuri. In questo caso, l’idea è di una commodity e, in maniera molto conveniente, si sbarazza delle persone che realizzano la creazione invece di guardare al loro lavoro concettuale e di design come ad una risorsa.

Un altro modo è di vedere i network creativi come network interdipendenti di persone. Per loro natura, non possono essere risorse e qualunque lavoro messo nella community serve a sostenere e nutrire quelle connessioni umane, non a creare asset. Il focus è sul contribuire.

Una visione più ampia#section1

Se guardate alle vostre design community come risorse da sfruttare, limitate voi stessi ai metodi predefiniti e abituali di condivisione e uso. Più il contenuto di quel network è impacchettato per vendita e distribuzione meno sarà “fresco”. Nel suo essay Friendship is a Commons, Dougland Hine dice che quando oggi si parla entusiasticamente di digital commons, si usa troppo spesso il linguaggio di gestione delle risorse, non il linguaggio delle relazioni sociali.

Probabilmente, dovremmo adottare una visione più ampia, più globale.

Ci sono numerose design communities nel mondo: sono fluide e fresche ed operano secondo regole sociali e usi distinti e complessi. Questi designer stanno affrontando attivamente dei problemi nelle proprie communities in maniera originale e il risultato è un lavoro unico e culturalmente rilevante. Unendosi a queste ed interagendo con loro, accedendo a questi network, possiamo ripensare a quello che è la design community di oggi.

Esplorare communities più grandi#section2

Io sono diventato parte di un certo numero di creative communities, con vari gradi di attenzione. Sono stato un membro di Behance per quasi 10 anni (Fig. 1), da quando era qualcosa di molto differente (“Siamo lieti di invitarti ad unirti al Behance Network, in collaborazione con MTV”).

Screenshot di una vecchia pagina del Behance Network Fig. 1: Screenshot del sito web della Behance creative community nel 2009. Fonte: belladonna

Mentre vivevo in Giappone, Behance era un modo per me per imparare nuove tecniche di design digitale e di partecipare in un design network incentrato sull’occidente, in cui l’inglese era la lingua prevalente. Col passare del tempo, è strano che adesso lo usi perlopiù esclusivamente per vedere cosa sta succedendo al di fuori dell’Occidente.

Instagram, Twitter ed Ello sono tre piattaforme mobile con un numero di feature grandiose per collezionare idee visuali senza necessariamente dover sempre partecipare. Gli algoritmi sono incentrati sul mostrare più cose simili a quelle che ho visto: quanto più spesso guardo lavori di designer ed illustratori Asiatici e Africani, tanto più spesso scopro nuovi lavori da quelle community. Per quanto sia interessante per me, crea in effetti delle filter bubbles e devo stare attento a non cadere nella trappola di vederne di più dello stesso tipo.

C’è, ovviamente, una contro-reazione alla natura pubblica ed estrattiva di queste piattaforme: la crescita di “Slack as a community”. La battuta sull’appartenenza a 5-10 diversi gruppi di Slack sta diventando vecchia ma illustra un trend che si è osservato nel settore durante lo scorso anno o poco più. Lo vedo specialmente con i designer di colore, che a causa dell’abuso razzista/sessista degli open digital networks mettono da parte la creatività in favore della semplice difesa. Al contrario, ci spostiamo, pacatamente e deliberatamente, su Slack, una piattaforma che è esplicita nel suo adottare una variegata usership, in cui l’accesso è controllato molto più severamente e in cui l’empatia nei network di design/sviluppo è condivisa più prontamente ed è alimentata.

In questo momento, queste sono le piattaforme creativi sui cui contribuisco con il mio visual thinking, il mio lavoro e le mie conversazioni, per affrontare questioni visuali complesse, idee interattive che presumono un modo radicalmente differente di vedere il mondo. Ce ne sono, ovviamente, delle altre.

Esplorare alternative di visual design#section3

Nel Volume II di Mawahib (una serie di libri che mostrano gli illustratori, fotografi e graphic designer arabi) possiamo vedere una di queste design communities, ordinata e stampata: un record offline di un visual network prolifico (Fig. 2).

Foto dell'interno e della copertina del libro stampato Fig. 2: La pagina aperta del libro Mawahib, che mostra il lavoro di illustratori e designer arabi

E magari la chiave perché avvenga un vero cambiamento creativo sta proprio nell’unirsi in circoli. Ero affascinato mentre leggevo questo articolo su un collettivo di illustratori a Singapore. Si dice sia l’evento di disegno più longevo di Singapore perché si tiene da 7 anni. Michael Ng dice: “Molte persone non sanno che esistono illustratori come noi a Singapore e si stupiscono. Le aziende ci hanno perfino assunto per dei lavori grazie all’evento. Abbiamo anche creato un network tra di noi, passandoci opportunità e collaborazioni”. Commenti come questo mostrano che nel mondo ci sono delle scene di visual design vivaci, che internamente collaborano ed esternamente lavorano per esposizione e guadagni monetari.

Poster illustrato che promuove un evento Fig. 3: Poster dall’Organisation of Illustrators Council a Singapore, che pubblicizza una delle loro serate di sketching collaborativo

UX research che crea community#section4

IPrima, in questo articolo, abbiamo cominciato osservando i diversi modi in cui la gente vede le community creative esistenti. E le persone che ne creano di nuove? Ecco, ancora una volta, abbiamo designer e strategist che usano un’attenta ricerca culturale per creare e sviluppare network digitali sostenibili, non semplici librerie di risorse.

Per prima cosa, guardiamo il pilot di My Voice, un tool medico open source sviluppato da Reboot. I residenti di Wamba, un’area rurale nello stato di Nasarawa, Nigeria, hanno lottato per trovare un modo per comunicare con i loro fornitori sanitari. Reboot ha visto un’opportunità per sviluppare una piattaforma reattiva e che dà autonomia alla community, un modo per far condividere i feedback della gente con le cliniche e i dottori nell’area.

Dopo un trial di nove settimane della piattaforma e del software, i residenti di Wamba hanno visto che le cliniche cominciavano ad apportare piccoli cambiamenti al modo in cui comunicavano: cose come informazioni migliori sui pagamenti e sugli orari di apertura. Gli ufficiali del dipartimento di sanità nell’area hanno anche visto un’occasione per monitorare meglio le loro cliniche ed apparire più reattivi verso i loro costituenti. Quello che è cominciato come un modo per riferire sullo stato di una clinica e sulla sua qualità è diventato un modo per la comunità e il governo locale di migliorare insieme.

Foto di due persone che si guardano: una è una donna con un turbante nero e un maglione rosso Fig. 4: Interviste con i residenti della comunità per l’app medica MyVoice

In un altro progetto, un gruppo di ricercatori ha lavorato con una community nel Capo Orientale del Sud Africa per progettare e testare il mobile digital storytelling. È illuminante la loro esperienza nella creazione di una piattaforma di storytelling che non seguiva la tradizione narrativa Europea e tocca un tasto nell’inquadrare il modo in cui le persone nel Ndungunyeni vedono i network creativi (Fig. 4).

Al contrario delle loro idee iniziali, i ricercatori di UX hanno scoperto che lo storytelling “[…] come attività individuale è discordante con la prossimità delle persone che abitano i villaggi, l’uso condiviso dei telefoni e le norme di comunicazione. Essi dedicano una quantità significativa di tempo a scambiarsi visioni nelle riunioni e questi protocolli del parlare e dell’ascoltare contribuiscono alla coesione, a un’identità condivisa e alla sicurezza.”.

Immagine di due documenti di pianificazione che presentano una disposizione di foto e digital media viewing device controls, con linee che puntano a varie foto e icone di controllo del dispositivo su un lato e paragrafi di testo sull'altro. Fig 5: Prototipo di mobile digital storytelling (a sinistra) e di UI per registrazione di una storia (a destra)

In entrambe questi esempi, vediamo nuove reti creative che fanno affidamento su sistemi sociali collegati e suggerimenti per poter funzionare con successo. Ancora più importante, fanno affidamento sullo scambio reciproco: lo scambio di idee, sia che ci sia un beneficio personale immediato sia che non ci sia. Ciascuno dei partecipanti – i membri della comunità, gli UX designer, il personale delle cliniche e il governo locale – è stato in grado di collaborare ad un obiettivo comune. Tutto ciò è stato possibile grazie ad una tecnologia creata in maniera semplice a alla UX, anche nelle aree rurali con poca connessione cellulare. Hanno tutti contribuito, non cercando di estrarre valore ma di aggiungerlo: hanno usato questi tool di networking per approfondire le interazioni gli uni con gli altri.

Costruire alternative ai network attuali#section5

Quasi tutti i progetti su cui lavoriamo come designer trarrebbero certamente beneficio da punti di vista alternativi. Può essere difficile impostarlo, però, e collaborare con designer e developer al di fuori del proprio circolo immediato può sulle prime fare paura. Tenete a mente che l’obiettivo è di aggiungere valore ad altri network e di costruire connessioni interpersonali. Questo è l’unico modo per mantenere fresche le nostre idee creative.

Cominciare dal lavoro e da progetti freelance#section6

A volte il modo più semplice per accedere a vari circoli creativi consiste semplicemente nel pagare per un lavoro a progetto. Un grande esempio è il progetto per Quartz Africa di Karabo Moletsane. Moletsane, una talentuosa illustratrice Sudafricana, ha recentemente fatto un set di 32 meravigliosi ritratti per la Quartz Africa Innovators 2016 Series (Fig. 6). Quando ho chiesto a Moletsane come ha ottenuto il suo lavoro da illustratrice, mi ha detto che le è arrivato tramite il suo lavoro su AfricanDigitalArt.com. Moletsane ha anche detto di pubblicare regolarmente dei lavori sul suo Instragram e sul suo Behance, permettendo a Quartz di scegliere senza rifletterci troppo di lavorare con questa Sudafricana di talento per una serie globale sugli innovatori Africani.

Una grafica combinata. Sulla sinistra un pezzo di un lavoro di arte contemporanea che ritrae una donna. Sulla destra c'è un pezzo che mostra 32 ritratti in uno stile simile, sistemati in righe e colonne. Fig. 6: Le serie complete di Karabo Moletsane di 32 African Innovators per Quartz Magazine

Assumere e creare team partendo da diversi network#section7

A volte, i progetti freelance più a breve termine non vi daranno un accesso a lungo termine di qualità alle nuove design community e alle idee. A volte dovrete portare persone nel vostro team, a tempo pieno. Di nuovo, sottolineo quello che dice Dougland Hine sui modi in cui possono funzionare le design community:

[…] la gente ha avuto esperienze potenti di cosa significhi mettersi insieme, lavorare e creare community, [ma] le nuove forme di collaborazione si tramutano facilmente in nuove forme di sfruttamento…

Invece di cercare un accesso a breve termine, assumere e far crescere membri del team da altri network può essere un’alternativa molto valida. Tyler Kessler, il CEO di Lumogram a St. Louis, ha scritto recentemente sull’assunzione di un nuovo head of development che vive in Nigeria e cosa questo ha significato per la sua azienda. Ha usato Andela, una startup che sta formando e facendo assumere una nuova generazione di sviluppatori nigeriani.

Collaborazione su specifiche idee#section8

I vostri contributi ai network non devono nemmeno essere permanenti o rigidi. Ci sono numerose opportunità per unirsi ai collettivi o ai working group, che creano più network “effimeri” attorno a questioni specifiche. Uno di questi progetti, del DESIS Cluster Collective (pdf), è stato impostato “per scoprire quali nuovi servizi, tool e soluzioni possiamo progettare insieme agli anziani quando pensiamo alla nostra società futura.”. La varietà di idee è fenomenale, dai sistemi per mangiare in maniera più sana ai mini-parchi all’interno delle aree urbane dove gli anziani possono passare il loro tempo. Ogni team coinvolto ha contribuito con una seria user research, con information design e suggerimenti culturali per proporre nuovi modi per la convivenza con i nostri anziani (Fig. 7).

Immagine combinata di una giovane donna e di una donna anziana sedute ad un tavolo, diverse braccia appoggiate su una grande mappa e una serie di illustrazioni con persone che studiano problematiche ambientali e di situazioni. Fig. 7: Ricerca culturale per un’interfaccia con gli anziani, condotta dal Royal College of Art, Inghilterra nel 2013

La forma e l’utilità delle design community nel ventunesimo secolo è fluida e va da gruppi di designer e di illustratori con idee simili a community che lavorano con il digitale per risolvere problemi specifici. Anche i collettivi a breve termine stanno provando a gestire problemi sociali.

Sono tutti gruppi complessi di umani creativi. Non dovrebbero in alcun modo essere visti come “risorse” per sfruttamento e ispirazione. Troppo spesso nel mondo del design occidentale si sente dire che le idee hanno ampiamente raggiunto un equilibrio e sono diventate omogenee, ma non si tiene conto dell’incredibile lavoro che fiorisce in altre nazioni e sacche di internet. Il modo in cui costruite connessioni con altre persone creative vi rende parte del network. Guardatele, per quanto effimere e distribuite globalmente, come un modo potente per espandere i vostri orizzonti di design e far parte di qualcosa di diverso.

Sull’autore

Senongo Akpem

Senongo Akpem è designer ed illustratore e il fondatore di Pixel Fable, una collezione di storie Africane interattive. Parla alle conferenze e scrive di digital storytelling, transmedia e problematiche di design cross-culturale. Senongo è cresciuto in Nigeria, ha vissuto per una decina di anni in Giappone e adesso vive a New York.

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