Gli androidi sognano in versi liberi?

Dai Bancomat a Siri, fino al testo del pulsante in una interfaccia utente di un’applicazione, noi “parliamo” alla tecnologia e la tecnologia ci risponde. Spesso questo scambio è puramente transazionale: diamo dei comandi in input, la macchina ottempera al suo dovere. Le tecnologie predittive più nuove come le app personal assistant hanno rinegoziato questa relazione, preferendo relazionarsi a noi come tra pari, addirittura come se fossimo amici. Il sistema operativo provocante di Scarlett Johansson in Her ha portato questa idea al top della realtà, simulando amore, perfino orgasmi, tutti mediati digitalmente.

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Come possiamo progettare conversazioni uomo-macchina di successo, al crescere della pervasività della tecnologia e al suo acquisire crescenti quantità dei nostri dati personali? Il testo dell’interfaccia utente deve approssimare il ritmo, flusso e la sintassi del parlato umano? Oppure, umanizzare le conversazioni nella UI crea una falsa intimità che crea distacco nonostante stia cercando di incoraggiare la familiarità?

La risposta, ovviamente, è: dipende. La maggior parte di noi ha incontrato dei sistemi di customer service vocali automatizzati. Alcuni di questi, sforzandosi di rendere i loro robot rappresentanti il customer service meno simili a droidi, hanno delle voci che cercano di approssimare la dizione umana: una voce calma, spesso femminile, che fa delle pause, suggerisce chiaramente, collega i suoi suggerimenti con delle specie di “um”. I suoi tentativi di apparire reale sottolineano ulteriormente il fatto che si tratti di una finta, impedendoci un reale contatto umano.

Un computer che vi chiama allegramente con il vostro nome può o deliziarvi o darvi i brividi a seconda delle circostanze. Proprio quando i robot entrano nell’inspiegabile valle in cui sembrano troppo umani, una user interface che è troppo familiare può far allontanare la gente. Il copy deve essere esattamente bilanciato.

Consistenza all’interno della diversità#section1

Fino a poco tempo fa, ero una UX writer e content strategist in Google. Più specificamente, lavoravo alle Google Apps: Gmail, Docs, Drive – tutti gli strumenti di produttività che aiutano le persone a lavorare e comunicare. Scrivere per un’azienda grande e complessa pone delle sfide particolari perché il solo array di prodotti ed esperienze che si offrono può rendere difficile ottenere una certa consistenza di tono e stile.

Il nostro pubblico includeva persone che usavano gli strumenti Google al lavoro. Le persone al lavoro sono ovviamente un mercato molto diverso, ad esempio, dal teenager che naviga distrattamente utilizzando una consumer app come YouTube per i video clip (sebbene non possiamo dire che non si navighi su YouTube con la scusa del lavoro). Tuttavia, gli strumenti di lavoro dovrebbero essere tanto intuitivi quanto, oserei dire, piacevoli come la miglior consumer app. Dovrebbero aiutarvi ad essere più produttivi e creativi. Non dovreste scervellarvi troppo per capire come impiegarle.

Inoltre, considerate i molti modi in cui si lavora. Alcune persone sono costrette alla scrivania, mentre altre sono costantemente mobile. Alcune aziende hanno dei dipartimenti IT enormi che possono dare supporto, in altre i lavoratori devono imparare da soli ad utilizzare i prodotti, spesso senza avere un adeguato background tecnico. Tutto ciò può essere intimidatorio. La maggior parte dei lavoratori vuole portare a termine il proprio lavoro nel suo tempo, non imparare ad usare le Google Apps. Quindi, l’esperienza, e di conseguenza il testo, devono contribuire all’usabilità generale e alla facilità d’uso del prodotto.

Ci sono regole base che possono guidare la scrittura per tutte queste interfacce, sebbene esistano in molti contesti differenti e in luoghi diversi. Il teenager che naviga su YouTube può essere a Osaka o a Indianapolis. Modificare le impostazioni di Chrome dovrebbe essere facile e senza intoppi, che sia in Farsi, Tagalog o Italiano.

Sebbene possiamo lottare per un livello onnicomprensivo di consistenza definito da alcuni principi di base – essere gentile, di aiuto, non usare gergo o linguaggio tecnico – ogni prodotto ha delle convenzioni leggermente differenti, delle aspettative e dei contesti. Tuttavia, devono tutti essere riconciliati all’interno di un dominio che si possa riconoscere come Google, in oltre 50 lingue. Far sì il testo sia breve, che si possa leggere con un’occhiata e che includa solo le parole essenziali, renderà più semplice il viaggio dell’utente.

“OK Google, cerca un ristorante Thai.”#section2

Una particolare conversazione UI che Google potrebbe continuare ad affinare è il modo in cui avvia una ricerca vocale sullo smartphone. “OK Google” è il comando vocale che Google suggerisce per avviare un’interazione sui device mobili. Questa frase suggerisce che la nostra relazione con il nostro telefono e con Google è informale e famigliare, perfino discorsiva.

In realtà, se vi capiterà mai di dire effettivamente “OK Google” al vostro smartphone o a un wearable device, probabilmente vi sembrerà forzato e di cattivo gusto nel caso migliore. Personalmente, io preferirei semplicemente dire “Chiama Trevor” o “Trova ristoranti Thai nelle vicinanze” e attenermi a comandi semantici e funzionali.

“OK Google” è strano perché si basa sull’idea che noi si sia amici con il gigante delle ricerche. In questa riedizione, Google è un amico che aiuta piuttosto che un’azienda. Tuttavia questa stessa situazione Google sostiene il “Focus sull’utente” come uno dei suoi pilastri. “Utente” implica sia una certa distanza ascetica sia una relazione parassitaria spiacevole. Come posso simultaneamente essere amico e semplicemente un utente per la stessa azienda?

Il linguaggio rivela panorami sociali e sottolinea lotte di potere e può fare luce sull’intimità o sulla distanza. Quando si scrive per un’interfaccia, le più piccole parole rivelano dinamiche di relazione e motivazioni chiave, perfino emozioni. Il microtesto su un pulsante, ad esempio, può alterare il tenore della conversazione dell’interfaccia. Che etichettiate un pulsante “Ho capito” o “Continua” segnala più di una semplice trasmissione di informazione. “Ho capito” connota una cerca sicurezza e informalità e assume la rappresentanza dell’utente. “Got it” chiede loro di possedere la propria comprensione ed accettazione di qualsiasi informazione venga presentata prima di continuare, piuttosto che di acconsentire semplicemente a un “Continua”.

Un altro esempio di copy comune: “enable” invece di “turn on”. “Enable” sembra inutilmente tecnico e implica una sottile gerarchia tra l’enabler e l’enabled. Di contro, il più leggero “turn on” potrebbe indicare il flusso dell’acqua da un rubinetto o, a seconda di dove vada la mente, un precursore sexy per altre azioni. Quando l’obiettivo è essere “friendly”, dove tracciamo la linea tra stucchevole e meccanico?

Brevità con spirito#section3

Essere consci delle parole non significa che si debba rendere il linguaggio della UI puramente funzionale. Bilanciare testo ben posto, intelligente, con testo breve e conciso può aggiungere piacere e magia a un’esperienza. Prendete ad esempio “Aw, snap” di Chrome quando si verifica un errore di page load o la subdola personalità che pervade il flusso di acquisto di un biglietto aereo sul sito di Virgin America:

Screenshot della homepage di Virgin America.

La voce del brand di Virgin è provocante, divertente ed irriverente. Il loro approccio resuscita un’epoca andata in cui il viaggio aereo prometteva lussi eccitanti piuttosto che un sedile angusto, dei pretzel rotti e il purgatorio della sicurezza in aeroporto. Non si prendono troppo sul serio e il loro approccio inserisce uno humour sfacciato in un task così tedioso come la prenotazione aerea.

Screenshot di una finestra di dialogo modale dal sito della Virgin America.

Quel tono emerge in piccoli modi, come questa divertente finestra di dialogo modale riguardo dei costi aggiuntivi per gli upgrade. Il pulsante non è etichettato con “OK” come ci si aspetterebbe, ma con “Ho capito, facciamolo.”

Screenshot dal sito di Virgin America che mostra il testo della UI ‘Hey there’ che appare dopo che un utente ha inserito il proprio nome.

Quando un utente inserisce il proprio nome mentre prenota un volo, il campo della form saluta l’utente con il breve testo: “Ciao”. Sottili ammiccamenti come questo possono umanizzare un’interfaccia senza essere intrusivi ma nemmeno così colloquiali da risultare alienanti.

Il testo dovrebbe informare i lettori e aiutarli, poi dovrebbe togliersi dai piedi. Una UI ben scritta passa in background, pervadendo, senza mai opprimere, la user experience. C’è della poesia nello scrivere per il web, ma non si tratta delle ricche frasi sconnesse di Whitman. Piuttosto, si tratta dell’economia degli haiku del poeta Masaoka Shiki, così sobria che quasi non si nota.

Amichevole ma funzionale#section4

La popolarità dei “disintossicazioni digitali” suggerisce una crescente frustrazione derivante dalla nostra dipendenza dalle interazioni con la tecnologia. Il futuro potrebbe benissimo riservarci delle tecnologie non intrusive e silenziosamente utili, piuttosto che relazioni uomo-macchina intime à la Her.

Come tali, gli UX writer e designer dovrebbero prendere in considerazione il modo in cui possiamo far sì che le conversazioni siano friendly ma funzionali. Possiamo offrire delle indicazioni senza il peso di una relazione. Sue Factor, una mia ex collega nonché prima appassionata UX writer di Google, mi ha insegnato che il testo breve è spesso il testo migliore. Sebbene io mi guadagni da vivere scrivendo per il web, non mi illudo che qualcuno apra un’app e legga attentamente e assapori il mio linguaggio. Abbiamo tutti cose migliori da fare. Come scrive Shiki:

La mia vita —
Quanta ne rimane?
La notte è breve.

Illustrazioni: {carlok}

Sull’autore

Joscelin Cooper

Joscelin Cooper è una scrittrice e content strategist ossessionata da come le parole possano rendere più semplice la navigazione del mondo. Recentemente, ha lavorato in Google come editor e UX writer. In questo momento è content strategist in Airbnb. Ha anche scritto per Forbes, VentureBeat, Bold Italic e SOMA Magazine.

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