Zone d’Abitudine

Pensate alla scrivania del vostro ufficio: probabilmente vi ricorda di quando l’avete acquistata, aperto la scatola ed assemblata. O forse vi fa tornare alla memoria il vostro primo giorno di lavoro, quando i vostri colleghi vi hanno mostrato dove vi sareste seduti. La scrivania, il computer sopra ad essa, la sedia su cui vi sedete e lo spazio che formano sono tutti repository [insieme di informazioni su un sistema, ndr] per la memoria. Ma questi oggetti non immagazzinano soltanto le nostre memorie: conservano anche i nostri comportamenti. La somma di questi comportamenti immagazzinati compone la zona dell’abitudine di un oggetto ed il semplice essere nei dintorni di quell’oggetto costringe i nostri corpi e le nostre menti ad agire in un determinato modo. Comprendendo il funzionamento di queste forze invisibile ed impiegando strategie per dare delle forme, possiamo godere di periodi prolungati e più frequenti di flusso.

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Come funziona la memoria: una breve panoramica#section1

Parliamo spesso dei nostri ricordi come se si trovassero nel cervello sotto forma di cose concrete ed indicizzate. Tuttavia, se il cervello fosse una città, ciascun ricordo non sarebbe una casa con il proprio indirizzo, ma al contrario, un ricordo sarebbe più come il momento in cui una certa combinazione di case ha le luci del portico accese. I ricordi sono associazioni, e allo stesso modo le case—neuroni—immagazzinano e processano queste associazioni.[1].

A causa di questa architettura unica, i nostri ricordi sono interconnessi. Quando parliamo di “memorizzazione” dei ricordi all’interno degli oggetti, stiamo creando dei nuovi insiemi di associazioni che, una volta stabilite, ci sembreranno più familiari dal quel momento in avanti. Non appena rivolgete la vostra attenzione al vostro ricordo della scrivania, state portando in superficie una ragnatela di associazioni familiari, come se tiraste le radici esposte di un albero.

I ricordi di quando avete assemblato la scrivania e del vostro primo giorno di lavoro sono un tipo di memoria chiamato memoria dichiarativa, che fa riferimento a cose che vengono evocate esplicitamente, come fatti, avvenimenti e storie. D’altro canto, i comportamenti appresi, come suonare il pianoforte o andare in bicicletta, sono una forma di memoria implicita che va sotto il nome di memoria procedurale o memoria di come si fanno le cose, comunemente nota come “memoria muscolare”.

Inseriamo costantemente i nostri ricordi negli oggetti e nei contesti senza rendercene conto. Tuttavia, scarichiamo coscientemente le nostre memorie dichiarative negli oggetti: compriamo souvenirs, ci affezzioniamo al vecchio maglione del nostro amato e facciamo foto agli eventi significativi. Se questo funziona, e se i nostri comportamenti non sono altro che un tipo differente di memoria, allora perché non cercare di assegnare a degli oggetti anche qualcuno di questi nostri comportamenti?

Forze invisibili#section2

Ecco come la vedo io: ogni oggetto emette un suo campo d’abitudine. Quando ci sediamo alla nostra scrivania nel nostro ufficio per lavorare, trasformiamo questo campo d’abitudine in uno spazio produttivo. Quando ci accomodiamo su una poltrona per guardare il nostro programma TV preferito, spingiamo il campo d’abitudine della poltrona verso il relax e il consumo. Più ripetiamo le stesse attività attorno ad un oggetto, più forte diventa questa abitudine. E più diventa forte questa abitudine, più sarà facile per noi ritrovarci in quella modalità di comportamento la prossima volta che ci troveremo attorno a quell’oggetto.

Tutti gli oggetti hanno un campo d’abitudine. Spesso, questo va contro la natura fisica dell’oggetto e le nostre esperienze pregresse con oggetti simili. Don Norman le chiama affordances [“capacità di un oggetto o di un ambiente di suggerire all’utente come interagire con esso”, da Dizionario il Ragazzini 2010, ed. Zanichelli, ndr]. Le macchine da scrivere suggeriscono l’azione dello scrivere; gli acquarelli suggeriscono il dipingere; i libri suggeriscono la lettura. Poiché vi è un limite fisico a ciò che si può fare con questi oggetti, il loro campo d’abitudine è predefinito e non cambia facilmente.

Campi d’abitudine fuzzy#section3

Alcuni oggetti hanno dei campi d’abitudine più ambigui. Un semplice tavolo, ad esempio, può essere usato come superficie per cenare, per scrivere o per leggere. Eppure per tutta la storia dell’uomo, questi oggetti “fuzzy” sono stati soprattutto secondari rispetto all’attività principale: quando si interagiva con il tavolo, si interagiva con il cibo sul tavolo. Gli oggetti multifunzionali nelle nostre vite tendono a rimanere in secondo piano, finché non è arrivato il personal computer.

Torniamo alla vostra scrivania. Poniamo il caso, ad esempio, che ogni volta che vi sediate alla scrivania, invece di fare il vostro lavoro, controlliate le email, clicchiate su link di Twitter e giochiate ai giochi di Facebook. Anche se avete il processore più potente, la scrivania pronta per il lavoro e una sedia ergonomica, questi oggetti assorbiranno i vostri comportamenti e, col tempo, il loro campo d’abitudine si sposterà verso una direzione non produttiva.

Grazie alle capacità multitasking del computer, alcune volte questi campi d’abitudine si orienteranno verso l’atto del passaggio da un programma all’altro! Se siete condizionati dall’alternare tra diverse modalità lavorative ogni pochi secondi, non c’è da stupirsi che avrete un bel daffare a restare concentrati su una cosa sola.

I nostri tool stanno diventando sempre più capaci e sempre meno ingombranti: l’iPad ne è un buon esempio. Non avendo una tastiera fisica ed un mouse, il tablet ha il campo d’abitudine ancora più fuzzy di un portatile. La portabilità dell’iPad lo rende adattabile a vari contesti: ciò implica che le nostre interazioni con questo device hanno potenzialmente la capacità di influenzare, in meglio o in peggio, il campo d’abitudine degli oggetti che usiamo vicino ad questo.

Dare nuova forma ai campi d’abitudine#section4

La buona notizia è che i ricordi, e di conseguenza i campi d’abitudine, sono sorprendentemente malleabili [2]. Se prestiamo attenzione ai modi in cui costantemente influenziamo i campi d’abitudine che ci circondano, possiamo cambiarli in meglio. Immaginate un campo d’abitudine attorno alla scrivania del vostro ufficio così potente che ogni volta che vi sedete, venite circondati da un’aura che mantiene il flusso di produttività. Potrebbe suonare come un’iperbole, ma con il giusto condizionamento, è totalmente possibile.

Avere il polso del campo d’abitudine#section5

Riflettete su come alcuni oggetti o spazi nella vostra vita sono già orientati attorno ad un particolare comportamento. Se lavorate con un portatile, vi trovate a gravitare attorno a posti specifici a seconda di ciò che state facendo? Se avete un computer nel vostro ufficio a casa ed un altro nel soggiorno, quali sono le differenze d’uso tra i due?

Osservate le divisioni naturali tra attività lavorative e di piacere o tra il creare cose e usare cose. Se tenete già separate queste cose, allora potreste solo aver bisogno di fare alcune modifiche. Se avete sempre cercato di fare tutto da un solo posto e con un solo device, allora potreste aver bisogno di prendere una decisione cosciente e dividere i vari modi di comportamento.

Innanzitutto, definite come volete dividere le vostre attività tra i vari tool e i diversi spazi e poi impegnatevi a mantenere separate le attività per rafforzare i rispettivi campi d’abitudine. Ogni volta che vi sedete, provate a chiedervi “In che modo le mie azioni modificheranno il campo d’abitudine degli oggetti attorno a me?”

La poltrona della distrazione#section6

Io svolgo la maggior parte del mio lavoro da casa e nel mio appartamento ho una poltrona che riservo alle e-mail, a controllare gli status update e a navigare nel web per divertimento. La chiamo “la poltrona della distrazione”. Cerco di lasciare il mio tavolo da lavoro per il vero lavoro — scrivere, progettare e programmare — e quando ho voglia di leggere Twitter o di controllare l’e-mail mi sposto sulla poltrona. Prima di avere un iPad, staccavo il mio portatile e mi spostavo sulla poltrona: funzionava bene.

All’inizio, potrebbe sembrare una distrazione alzarsi e spostarsi ogni volta, ma questo è proprio il punto. Fintanto che aderirete alle regole che avrete creato per voi stessi, con l’andar del tempo avvertirete che la forza del campo d’abitudine vi terrà al vostro posto—l’atto di alzarvi, camminare e sistemarvi in poltrona diventerà così tedioso da tenervi incollati alla vostra scrivania, portandovi a dei periodi lavorativi prolungati.

In maniera simile, il campo d’abitudine della poltrona si trasformerà in una “zona di svago”—da cui so di voler star lontano se ho una deadline e ho bisogno di concentrarmi. A volte, quando realizzo che ho passato troppo tempo sulla poltrona, è più facile ordinarmi di andarmene: è sufficiente che io mi alzi in piedi e lasci quella zona.

Barriere all’accesso#section7

Un altro modo per condizionare il campo d’abitudine per il device è quello di limitarne la capacità software. Impedendo l’accesso ad alcune applicazioni, rendete più difficile divagare per capriccio da quello che dovreste fare.

Una cosa che potete fare è cancellare gli shortcut da tastiera per i programmi fonte di distrazione. Rimuovete questi programmi dal dock o dal desktop. Anche quando dovete usarli, chiudeteli immediatamente dopo che li avete usati invece di lasciarli aperti. Potete anche modificare il vostro file HOSTS per impedire l’accesso a certi siti web.

Potreste anche considerare di disinstallare questi programmi: io ho rimosso Tweetie, un client Twitter, dal mio Mac proprio perché funzionava troppo bene: mi permetteva di leggere la mia timeline di Twitter con una semplice combinazione di tasti, che avevo cominciato a comporre automaticamente, senza rendermene conto. Ora, quando ne sento il bisogno, accedo a Twitter dal mio iPad. Solo perché potete avere accesso immediato a qualcosa attraverso degli shortcut da tastiera, non significa che dovete accedervi. Aumentando lo sforzo necessario per accedere alle applicazione non desiderabili, diminuirete la tentazione per il vostro subconscio di cercare questa piccola ricompensa.

Vincoli necessari#section8

TXTBlocker è un nuovo add-on per cellulari che usa la tecnologia GPS per disabilitare la possibilità di inviare SMS mentre si sta guidando. Il testo sul loro sito promozionale promuove la possibilità di “impostare delle ‘Safe Zones’ per disabilitare o limitare la funzione di mandare messaggi nelle scuole o attorno ai posti di lavoro”. Proiettandoci nell’immediato futuro, possiamo immaginare un’ondata di nuovi devices dotati di sensori di prossimità che consentano di disabilitare alcune funzionalità a seconda del contesto in cui si trovano. Ironico— sembra che la soluzione per rendere i nostri multitasking devices più efficienti sia di farli diventare unitaskers in maniera indiretta.

C’è una buona ragione per questo: più i nostri tool diventano capaci e multipurpose, più il peso di decidere quello che possono fare si sposta su di noi. I vincoli fisici devono essere rimpiazzati da quelli artificiali e l’efficacia dei nostri tool diventa un’estensione del nostro volere e della nostra auto-disciplina. Senza questi vincoli, i nostri devices diventano essenzialmente grumi amorfi che non aiutano granché a concludere alcunché.

Siamo tutti supereroi#section9

Abbiamo il potere di conferire le nostre abilità alle cose che ci stanno attorno. Prendendo coscienza dei nostri tool, delle nostre abitudini e dei nostri spazi, e condizionandoli per fare in modo che ci aiutino a comportarci come vogliamo comportarci, forse possiamo tenere sotto controllo centinaia di ore di genio creativo imprigionato nei nostri oggetti di tutti i giorni. Forse saremo capaci di massimizzare le capacità che le nuove tecnologie ci offrono senza essere sopraffatti dalle distrazioni. E, solo come ipotesi, ci ricorderemo di come ci si sente ad essere totalmente assorbiti nel nostro lavoro quotidiano.

Note#section10

[1] Questa analogia non è niente altro che un’analogia. La memoria è un meccanismo complesso e confuso sul quale si apprendono costantemente nuove cose. Per le persone interessate ad un approfondimento, questo episodio di Radiolab su Memory and Forgetting [“La memoria e la dimenticanza”, ndr] è un eccellente punto di partenza.

[2] Loftus, Elizabeth F. Creating false memories Scientific American. 277(3): 70-75.

  • Illustrazioni di {carlok}

Sull’autore

Jack Cheng

Jack Cheng è uno scrittore ed un designer che vive a New York. E' il co-fondatore di Steepster e ha un suo blog personale all'indirizzo jackcheng.com, su cui scrive come combattere le distrazioni e fare appello all'auto-disciplina per portare a termine i lavori creativi nei tempi moderni.

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