Un attimo di respiro

Uscì dal suo ufficio con un’espressione agitata sul viso, muovendosi freneticamente. In qualche modo sapevo che si sarebbe avvicinata alla mia scrivania. “Cosa succede?”, chiesi togliendomi le cuffie e cercando di restare calmo. Temevo già la risposta. “Il sito è giù. Nessuno riesce a loggarsi”, disse il nostro CEO, di nuovo con la voce incrinata dal panico.

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Stavo ancora processando queste parole, temute e detestate dagli sviluppatori di tutto il mondo, quando aprii il file in cui sospettavo si trovasse il colpevole. Avevo indovinato: era proprio quello che avevo appena messo in produzione. Praticamente subito, i telefoni cominciarono a squillare: erano le cliniche oncologiche che dipendevano dal nostro software per la cura dei loro pazienti, tanto agitati quanto la nostra CEO.

Rapidamente, sistemai il bug e feci il commit dei cambiamenti, osservando ansiosamente i messaggi di log dello script di deploy. Tornai sul mio browser e feci refresh. La pagina si caricò con successo e uscii a prendermi una boccata d’aria. Camminai avanti e indietro di fronte al nostro edificio, con le spalle curve, incapace di rilassarle. Il peso che sentivo sul petto mi faceva respirare a fatica.

Come la maggior parte dei colleghi a cui ho raccontato questa storia, questa non era né la prima né l’ultima volta in cui avrei sacrificato la mia salute fisica ed emotiva per l’effimera promessa di un lavoro in una startup: la possibilità di entrare presto in un’azienda destinata ad una IPO enorme. Ma questa volta, i segnali d’allarme da parte del mio corpo erano impossibili da ignorare.

Questo è il tuo cervello quando dormi quattro ore#section1

Avevo sempre immaginato che una tac del mio cervello mentre lavoro sarebbe apparsa come un’immagine aerea di una foresta in fiamme: un’attività veloce, di un arancio e di un rosso intensi, che travolge l’intera zona. In realtà, invece, viene attivata solo una regione in particolare: la corteccia prefrontale, la regione del cervello, grande circa quanto un pugno, che si trova dietro la fronte, in posizione frontale rispetto agli emisferi sinistro e destro. È l’unica regione del cervello al lavoro quando siamo seduti al computer e programmiamo. Gli scienziati fanno notare che questa regione è responsabile delle “funzioni esecutive”, un termine generale che include tutto dall’organizzazione e pianificazione fino all’impostazione degli obiettivi, alla risoluzione dei problemi e al pensiero astratto.

La corteccia prefrontale consuma una quantità sproporzionatamente grande di energia per la sua dimensione: più di sei calorie ogni 100 ingerite vengono messe da parte per questa regione del cervello. È impressionante se considerate quanti siano gli altri sistemi all’interno del corpo che competono per quell’energia. Sfortunatamente per il tipico lavoratore di una startup, la performance della corteccia prefrontale è anche direttamente collegata alle nostre abitudini di sonno.

In uno studio recente dello Sleep Neuroimaging Research Program alla University of Pittsburgh School of Medicine, i ricercatori hanno scoperto che la corteccia prefrontale è in una condizione di particolare svantaggio dopo una notte in cui si è dormito davvero poco. In altre parole, il cervello privato di sonno devia le sue risorse verso regioni che consumano più energia e hanno un ordine più alto, come la corteccia prefrontale, e verso aree come i gangli basali, che sono responsabili per le funzioni vitali come ingerire e respirare.

In altre parole, mentre pensate di trarre vantaggio dormendo poco per lavorare di più, in realtà il vostro cervello alla fine avrà “troppa fame” per essere usato.

Fortunatamente, il cervello può iniziare a rigenerarsi anche dopo una sola notte di quello che i ricercatori della University of Pittsburgh chiamano “sonno riparatore”: quello profondo, senza sogni, che vi fa dormire fino al pomeriggio il sabato.

Questa ricerca sembrava confermare le mie scoperte. Avevo scoperto che lo scotto da pagare in termini cognitivi della privazione di sonno era più evidente lavorando a stretto contatto con i miei colleghi. In queste sessioni di programmazione a coppie, facevo fatica non solo a scrivere codice coerente, ma anche a comunicare le intenzioni più profonde del mio lavoro. Quello era il momento in cui diventavo più stressato: nessuna quantità di caffè avrebbe potuto ridurre la difficoltà del mettere insieme le parole.

Improvvisamente, realizzai che dovevo rinunciare a qualcosa. Ero costretto a mettere in discussione quanto fosse insostenibile il mio equilibrio tra lavoro e vita privata. C’era stato un momento in cui avevo pensato che la mia capacità di produzione fosse illimitata, ma adesso sia la scienza sia il mio stesso corpo stavano contraddicendo nettamente il mito dello startup worker super-umano.

Umano, tutto troppo umano#section2

Giungere alla conclusione che le persone hanno dei limiti è molto più facile che riconoscere davvero i nostri. Passiamo così tanto del nostro tempo a comunicare con i computer che è facile cominciare ad aspettarsi le stesse cose super-umane da noi stessi così come facciamo con le nostre macchine. I nostri obiettivi diventano delle feature straordinarie come il 99% di uptime, un’impeccabile capacità di fare calcoli complessi e un’espansione logaritmica della memoria.

Ma per continuare a lavorare, alla fine ho dovuto mettere molta più attenzione nella cura di me stesso, cosa che si è rivelata essere sia più difficile sia più gratificante di quanto potessi immaginare.

Sapendo quanto fossero autolesionisti i miei cicli di mancanza di sonno e l’aumentato bisogno di sonno, decisi di proporre un talk a una conferenza su questo argomento. Sapevo che avrei dovuto parlare dalla mia esperienza, di come avevo spostato la mia attenzione dalla produzione di software al mio benessere, e questo talk mi avrebbe permesso di mostrare delle prove del mio cambiamento. Quando ricevetti l’invito a parlare, avevo circa tre mesi per prepararmi, cosa che mi permise un’esplorazione più approfondita dell’efficacia delle mie abitudini al lavoro e a casa.

I miei due obiettivi immediati erano di riuscire a dormire otto ore filate tutte le notti e di provare la meditazione. Scoprii subito che dormire era il più semplice tra i due da mettere in atto e, dopo aver affrontato l’ansia di non imparare più tanto in fretta, ero in grado di dormire regolarmente. Ma sebbene fossi sempre stato attirato dall’idea della meditazione, mi era stato difficile inserirla in maniera consistente nella mia vita. Questo cambiamento però mi aiutò a ridefinire la meditazione non necessariamente come una pratica religiosa o spirituale, ma piuttosto come un’attenzione esclusiva su una cosa. Nel mio caso, il respiro.

Scoprii che mentre girava la test suite automatizzata sul codice Ruby della nostra applicazione avevo l’opportunità perfetta per togliere le mani dalla tastiera, metterle sulle ginocchia, sedermi diritto, chiudere gli occhi e cominciare a respirare profondamente. Per quanto io sia incline a un rapido flusso di pensieri, questa pratica mi aiutà non solo a gestire lo stress che sentivo durante il giorno, ma anche a concentrarmi su un singolo flusso di pensieri più efficacemente. Una volta trovata questa finestra di tempo per meditare, cominciai a trovarne delle altre: durante l’avvio del mio computer, mentre il pranzo si riscaldava nel microonde, guardando il mio server locale avviare l’ambiente Rails… Se avevo tempo per controllare il telefono, allora avevo tempo per respirare.

Ciononostante, non era l’abitudine più semplice da coltivare. Sulle prime, il mio impulso immediato era quello di controllare Twitter, aprire l’email o tornare al codice che stavo testando e cercare di anticipare un errore prima di leggere l’output dalla riga di comando. Pensavo che questi impulsi mi stessero impedendo di concentrarmi sui miei pensieri irregolari e a volte caotici, ma realizzai nel tempo che erano solo un’aggiunta al caos. Più spesso superavo l’istinto di passare immediatamente a un nuovo task, più prolungavo la mia sensazione di calma quando facevo dei respiri profondi.

Solo lavoro e niente divertimento?#section3

Con mia grande sorpresa, questo senso di calma mi condusse ad una presa di coscienza del mio livello di stress collegato al lavoro e dei suoi effetti sulla mia salute emotiva. Ossia, rallentare i miei pensieri mi ha permesso di prestare una particolare e speciale attenzione alle mie emozioni, alla mia energia, alla mia capacità di riuscire a coinvolgere gli altri e a comunicare bene e un senso generale di soddisfazione personale derivante dal mio lavoro.

Mi è sempre piaciuto il mio lavoro ed ero stimolato dall’uso di tutte le tecnologie futuristiche che richiedeva. Vedere dei grandi passi in avanti nel mio percorso formativo, settimana dopo settimana, aveva costituito un’enorme fonte di motivazione, ma quando cominciai a meditare, rallentando i miei pensieri a una velocità alla quale potevo dargli una forma coerente, realizzai di essere sopraffatto da tutte queste ore extra. Il mio burnout emotivo stava combattendo con quello fisico derivante dalla mancanza di sonno.

A lungo andare, credo – e la ricerca che ho trovato sostiene proprio questo – che concentrarmi sulla mia stabilità emotiva sia stato probabilmente più efficace nel garantirmi il successo come sviluppatore piuttosto che stare alzato tutta la notte a leggere libri sui design pattern object-oriented. Ma nel frattempo, ho cominciato a sentire la mancanza del ritmo di apprendimento a cui ero abituato. Mi chiesi se avrei mai riscoperto la mia originaria passione per la programmazione.

Tuttavia, stavo anche emergendo dal mio guscio ed esplorando nuovamente le attività che una volta mi piacevano molto: avevo ricominciato a uscire a bere con gli amici e a giocare ai giochi di società con mia moglie invece di leggere incessantemente documentazione sui framework JavaScript.

Non mi sentivo così bene da mesi.

Trovare l’armonia#section4

Solo durante l’ultimo mese ho ricominciato a sentirmi di nuovo ispirato. Ho iniziato ad alzarmi ogni mattina un’ora o due prima per esplorare alcuni dei nuovi argomenti di JavaScript che sono saltati fuori durante l’estate, mentre ero in pausa per un’esplorazione extra-curriculare. La mia carnagione ha recuperato un po’ del suo colore e sul lavoro mi sento sia più motivato sia meno stressato.

Mi piacerebbe moltissimo dire che questa pausa, questo sabbatico per ampliare le mie prospettive, che mi sono preso dal carico del lavoro sul web che mi aveva sopraffatto, abbia aiutato la mia carriera e il modo in cui lavoro, ma fondamentalmente, è difficile giustificare così tanto tempo passato a recuperare dopo un burnout quando il nostro settore continua ad essere feticista della produttività e del ritmo folle delle tecnologie web.

Come in tutte le cose della vita, occorre trovare un equilibrio tra il ritmo frenetico del nostro settore e i nostri ritmi interiori. Quest’anno, ho imparato che il mio corpo conosce questo equilibrio e mi aiuterà a trovarlo se io l’ascolterò.

Illustrazioni: {carlok}

Sull’autore

Nick Cox

Nick Cox è front-end web developer e designer a Seattle, dove vive con sua moglie e due gatti. Lavora come software engineer per Navigating Cancer, contribuendo a rendere più umano il futuro del software oncologico. Di tanto in tanto scrive cose riguardo a Ruby, JavaScript e alle tecnologie a questi collegate sul suo blog e twitta da @everydaytype.

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